LOBODILATTICE

Due parole su Aldo Buzzi, scrittore geniale, nel decennale della scomparsa

Di Dario Lodi

Due parole su Aldo Buzzi (1910-2009)

La mattina di una domenica, credo di aprile, anno 2006, ero alla Libreria Rizzoli di Milano, a due passi da Piazza della Scala, e curiosando fra i libri ne scovai uno dal titolo insolito: L’uovo alla kok di un autore che non avevo mai sentito nominare, Aldo Buzzi. Francamente lo lessi un po’ controvoglia, temendo il solito scrittore moderno, ricco di forma e povero di sostanza. Piccola parentesi: considero gli scrittori del giorno d’oggi dei modesti esibizionisti, non malvagi nelle buone intenzioni, ma assai poco preparati a svilupparle. E questo per colpa dei grandi editori e dei mediatori culturali che trattano il lettore come una sorta di minus habens. La letteratura moderna, a mio parere, si è agganciata ai feuilleton di fine Ottocento, anziché ai grandi romanzi russi e francesi. O anziché alla stupenda voglia di raccontare di un Proust o di un Pessoa, di un Kafka. C’è stata un’involuzione determinata anche da fattori sociali, fagocitati da una scolarità medio-bassa diffusa, con conseguenze disastrose per quanto riguarda la gestione dei concetti. Ovvero, il loro soffocamento.
Ma torniamo ad Aldo Buzzi e al suo uovo alla kok: la lettura relativa è andata avanti in modo spedito e felice. Subito mi misi a cercare altri titoli, ed ecco Un debole per quasi tutto. Un classico livre de chevet. Quando sono di cattivo umore, apro quest’ultimo e ritrovo a pagina 37 il “Dolci Onorato”, un raccontino di poco più di due pagine che andrebbe messo in cornice. Poi, salto a pagina 163 dove trovo Kãthe Muller, la madre. Trovo una dolcezza rara, una narrazione fluida, sul filo dei ricordi sentimentali, che non vorrebbe mai finire Non che il resto sia da trascurare, intendiamoci.
Intanto, lo stile, il garbo. Poi una intelligente ironia, una bonomia sferzante. Ma più di ogni cosa, un vissuto che rivive continuamente, con calore e incisività. Il piacere della parola e di ciò che essa suscita, la capacità di scrivere fra le righe. L’interpretazione dei fatti che diventa descrizione esemplare, piena, ricca, generosa di suggestioni. L’incanto che spunta naturale dalla nostalgia e dalla malinconia per il detto che vorrebbe essere ridetto con qualche sostantivo in più, oppure cambiando la posizione delle parole, oppure ancora
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lasciandosi maneggiare dalle parole stesse. Vivere con esse, respirare con loro: ecco cos’è la
letteratura.
Forte di queste sensazioni, cercai il su indirizzo e gli scrissi per complimentarmi,
allegandogli una copia di Logos, una rivistina di varia umanità, da me diretta. Piccola
tiratura, massimo duecento copie cartacee (allora nell’associazione culturale da me
presieduta girava qualche soldo). Lui mi telefonò (devo dire che la stessa cosa era avvenuta
con Lalla Romano, alla quale la rivistina piacque molto,: evidentemente me la intendo con
i novantenni) e m’invitò a casa sua, in zona Lambrate per un caffè. Non me lo feci certo
ripetere.
Mi trovai davanti a un uomo molto anziano (aveva quasi 96 anni)
ma ancora molto lucido di mente. A dire tutta la verità, mi ero
precipitato anche per vedere che situazione fisica deve sopportare
un uomo molto in là con gli anni: Aldo Buzzi la sopportava bene.
Aveva coscienza della sua longevità, ma non intendeva mollare.
La mia stessa curiosità, mi disse Aldo, che aveva capito tutto,
l’aveva avuta il parrucchiere che tagliandogli i capelli gli chiese a bruciapelo: “Come ci si
sente a 95 anni?” e lui rispose (mi disse sempre Aldo): “Ci si sente come a 85”. Questa
storia degli anni che passano, assillando tutta l’umanità, lo lasciava abbastanza
indifferente. Oppure, simulava con un’abilità a me sconosciuta. Tutto ciò sino a quando,
dopo ripetute visite (non meno di due ore, sebbene lui avvertisse in anticipo che al
massimo avrebbe resistito mezz’ora) mi confidò: “Nessuno sa quanto io sia solo”. Era, ne
sono sicuro, una solitudine esistenziale che mi colpì per la sua profondità e serietà.
Nessuna auto-commiserazione e nessuna lamentela tradizionale. Aveva un nipote
affettuoso che abitava a pochi passi e una “belle fille”, Marina (figlia di Bianca Lattuada e
di Corradino Marchesi), sposata Salghetti-Drioli, con villetta a Brunate, sopra Como,
spesso a Milano da lui. Con Marina aveva un’affinità elettiva. Saprò dopo che si confidava
solo con lei, scrivendole lunghe lettere (ho avuto la fortuna di leggerne alcune: c’è dentro
tutto il mondo di un uomo). (Nella foto è con Saul Steinberg.)
Dopo la prima visita, al telefono mi disse che somigliavo un po’ ma Picasso nel modo di
propormi: sanguigno e determinato: ma va bene così, concluse. Non so come, nacque una
discussione sulle opere di Nabokov (che lui adorava: io meno) e su Vittorio Alfieri (che
detesto: ma Aldo mi esortò a leggere le confessioni di questo autore: le trovai ottime).
Nelle visite successive, mi fece conoscere diversi autori, fra cui Thomas Bernhard
(straordinario nelle narrazioni brevi) e mi precisò chi e perché era autore da non amare. Ci
trovammo d’accordo quasi su tutto. Gli era molto simpatico Bacchelli (per via del Mulino
dl Po, del quale si era occupato nella versione cinematografica del 1949, regia di Alberto
Lattuada, tratta dal terzo volume del romanzo). Per inciso, a me Bacchelli non piace: il suo
lungo romanzo mi sembra una copia mediocre dei grandi romanzi russi, ma a questo
scrittore riconosco una certa padronanza formale. La stessa cosa vale per Mario Soldati,
ma con un particolare peggiorativo: alcuni suoi racconti sono illeggibili. Eravamo
d’accordo su Mastronardi (vero neorealista) e su Chiara (brillante). Persino su Tagore, la
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poesia è terribilmente melensa e ripetitiva. Passione reciproca per Leonardo Sinisgalli:
Logos ospitò un paio delle sue poesie (mi sembra che per questo guadagnai maggiore stima
da Aldo: disse “Sinisgalli” e sospirò).
Nel cinema aveva lavorato parecchio, con Lattuada, appunto
(grazie alla compagna Bianca, che era la sorella del regista, qui al
suo fianco)), con Comencini e con altri e fu persino un confidente
di Fellini, nel senso che quest’ultimo gli riversava addosso i propri
umori nel corso di lunghe gite senza meta in automobile. Da come
ne parlava, ovvero ne parlava pochissimo, Aldo Buzzi non amava
il cinema: ritengo perché ne vedeva una certa falsità, un certo
dovere di adeguarsi alle esigenze produttive, legate al botteghino popolare. Il cinema,
tranne rare eccezioni (Bergman ad esempio, Dreyer, Billy Wilder, Jacques Becker, Ernst
Lubitsch e pochi altri), non consentiva opere veramente personali e non induceva ad
approfondimenti tematici (oggi ancora meno).
Aldo era un architetto di Como (aveva avuto come compagni Lattuada e soprattutto Saul
Steinberg, un campione d’ironia – sovente amara e derisoria nei confronti della società, del
sistema – del secondo sarà amico vero per tutta la vita). Quando si parlava di pittura, Aldo
tirava in ballo le opinioni di Saul, che era un critico spietato e anche un po’ prevenuto. Una
volta su Logos misi un quadro di Rousseau il Doganiere e Aldo me lo bocciò asserendo che
secondo Steinberg, questo Rousseau era il peggior pittore figurativo di tutti i tempi. La
volta successiva misi un quadro di Chardin (il bambino che gioca con una trottola) e ne fu
entusiasta. Ma sono due partenze concettuali diverse, dissi: non rispose, però ci pensò su.
Non ho mai amato in modo particolare il Neorealismo cinematografico. Se ne parlava. Lui
c’era stato dentro. Lattuada era stato fra i pochi registi a coniugare neorealismo con
realismo Ottocentesco (in pratica, traducendo in lingua moderna, il linguaggio dei romanzi
di quel tempo, con temperie alla Zola). Se ne parlava e lo trovavo d’accordo sui danni fatti
da Cesare Zavattini in combutta con Vittorio De Sica (il pessimo Miracolo a Milano, il
modesto Ladri di Biciclette, l’insopportabile Umberto D.: pietà pelosa decisa a tavolino,
visione borghese – privilegiata – della miseria) per tacere della “rumorosità” di un
Rossellini (presuntuoso) e di un Visconti (dal pesante barocchismo dannunziano). Gli
piacque la mia irruenza. O forse la sopportò. Sopportò meno alcuni disegni erotici di
Fellini che gli portò Andrea Tomasetig (un libraio antiquario, mio amico): la tesi della
bisessualità del regista, che secondo Andrea ne derivava, non la condivideva affatto. E a
dirla tutta non gli interessava per niente che Fellini fosse bisessuale oppure omo.
Non so come sia entrato nel mondo della letteratura. Forse covava questo desiderio da
sempre e un amico, in qualche modo, lo facilitò (mi parlava sovente di Sergio Solmi, ottimo
prosatore: scriveva, fra l’altro, elzeviri sul Corriere della sera). Ma in fondo dire
“letteratura” nel suo caso appare riduttivo. Aldo viveva in un mondo suo, alla ricerca della
giusta coniugazione dei pensieri e nel rispetto del procedimento intellettuale, fatto di tanti
piccoli passi e di tante minuscole orme, tutte da prendere in considerazione. Come fare un
passo, sollevare la scarpa mantenendo la punta sul segno lasciato. Rimettere giù la scarpa
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intera, risollevarla piano e spiare meglio ciò che è rimasto sotto. Questo sotto, passa sopra, diventa una suggestione intellettuale che chiama a raccolta tutte le risorse dell’animo umano per ammirare la scoperta. La scoperta è un sottile passo avanti verso un mondo che accetta di uscire dai propri confini.
La prosa di Aldo Buzzi fa pensare all’Olismo di Jan Smuts (1870-1950, sudafricano, filosofo e a suo tempo Primo ministro di quel paese, purtroppo favorevole all’apartheid): in estrema sostanza L’Olismo sostiene che ogni cosa (e dunque ogni parola) è formata di elementi che travalicano il suo primo significato e che tendono a una certa autonomia espressiva, condizionata dall’unificazione del momento.
Ad Aldo è stata dedicata qualche mostra, sempre in abbinamento con Saul Steinberg che di fatto soffocava la personalità del primo. Qualcuno ha tentato di unirli nel nome di un presunto dato comune: la ricerca del buon cibo. In effetti, il Nostro, appuntava su dei quadernetti delle ricette che ricavava dai viaggi nei vai paesi del mondo per ragioni lavorative. E forse qualcuna, per pura curiosità, la metteva in atto nella casa americana dell’amico Steinberg, con gran divertimento goliardico del secondo. Ma Aldo non era un cuoco. Le ricette riportate con diligenza gli davano il destro per una conoscenza antropologica del luogo in cui si trovava, niente altro. Esigenze espositive, ovvero esigenze sovradimensionate, rese tali anche dal materiale a disposizione (pochissimo nel caso di Buzzi, abbondante nel caso di Steinberg) sono costate la miniaturizzazione della personalità dello scrittore a favore delle pur belle esplosioni di fantasia del disegnatore. Del primo si è parlato solo in funzione del secondo, mentre sarebbe dovuto avvenire il contrario. La tensione speculativa fra i due, penso sia a favore di Buzzi per “spessore”: lo spessore non è un’aureola, bensì un peso da portare anche per gli altri.
Recentemente, Luca Gallarini, per le Edizioni ETS, ha scritto un libro di circa 260 pagine su di lui (Le molte vite di Aldo Buzzi) senza minimamente preoccuparsi di dover cogliere lo spirito di questo “strano” personaggio. Ne esce un Aldo Buzzi ombroso, un po’ antipatico, alquanto presuntuoso. Chissà dove avrà trovato tutto questo. Il Nostro era una persona in fondo mite, umile, e quindi coerente con la sua posizione di precarietà e di relativa necessità di doverla ben puntellare attraverso la cultura. L’uomo non ha altre armi così efficaci. Aldo Buzzi non ammetteva l’approssimazione e non accettava vie traverse. Procedeva piano per la strada maestra, dubitando di se stesso, ma non della sua volontà di camminare. Non fingeva di farlo. Gli costava fatica. Molto più di quella fisica. Aveva timore di esitare, di non correre come avrebbe voluto e dovuto.
Lo vidi spaesato, negli ultimi tempi. E stanco di una stanchezza cosmica. Ma il mezzo sorriso sotto i baffi era indomito, dentro le rughe. Trasmetteva una imbattibilità umana alla quale il “fato” sembrava doversi assolutamente e giustamente piegare.
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Logos, periodico di varia umanità a cura di ACADA (Ass. Culturale Amici delle Arti – Via Monzese 4– 20060 Vignate, Viale Italia 8 –20066 Melzo – 335 8345224 e-mail: lodilogos@gmail.com - Dir. Resp. Dario Lodi – Suppl. Medici a Milano n. 1/2019. Aut. Trib. Mi 139/93 – www. tumblr.com – logos bimestrale – cf 91544300153