LOBODILATTICE

UN BRUTALISMO METALLARO FRA LE BORCHIE DELLE STELLE

A Milano, presso la Galleria “Gaburro”, si può visitabile dal 26 Marzo al 31 Maggio la mostra Urban singularity: l’architettura oltre l’umano, che ha i quadri di Fabio Giampietro, a sottrazione d’olio su tela. Esteticamente, pare che a lui interessi un pozzo per la figurazione ed una stringa per l’astrazione. Quantomeno la tecnologia avrà superato la fisica… Nel buco nero, la forza di gravità da una massa enormemente concentrata impedisce l’uscita di qualunque entità, ivi compresa la luce. Per la teoria delle stringhe, le particelle elementari non ci appaiono puntiformi, bensì all’estensione d’oggetti in modalità di vibrazione. Fabio Giampietro realizza una serie di quadri futuristici. Per lui, la metropoli avrebbe conquistato addirittura le fondamenta invisibili dell’aria, nel cielo. La grande concentrazione dei servizi sarà simboleggiata da uno stemma comunale all’asta del raggio solare. In una psicanalisi degli impulsi primordiali, il pozzo dei desideri medierà fra il buco nero e la teoria delle stringhe. La metropoli offre “mille” servizi per la possibilità d’una realizzazione personale.

Fabio Giampietro rappresenta l’architettura quasi all’esploso, aggiungendo la tridimensionalità alla sedentarietà. Passi per la preferenza di rifugiarsi nel “cantuccio” domestico; ma l’ufficio di lavoro “stritola” paradossalmente neutralizzando, all’anonimato delle pratiche. Esiste il buco nero per la perdita dei ricordi personali. Allora, chissà se il “viaggio nel tempo” partirà dai “razzi del focolare”. I dipinti ci raffigurano un cubismo… al futurismo. La compresenza dei lati sarà stata potenziata alla gittata d’un “cannone”. La tecnologia contemporanea mira da anni a rimpiazzare le automobili con le autovolanti. Se Fabio Giampietro citasse un castello errante (da un film di Hayao Miyazaki), allora le tubazioni avrebbero un metallo muscolare. Fra la tecnologia ed il vitalismo, oggi l’intelligenza artificiale richiede un’etica contro la distopia. Esiste il motore a reazione dei razzi che si sganciano, verso lo Spazio. Rimanendo sulla Terra, statisticamente l’esploratore può scalare il Monte Everest, ma non inabissarsi alla Fossa delle Marianne. Fabio Giampietro c’invita a guardare i nostri piedi. Di norma è il panorama che ipnotizza. In alcuni quadri la stringa si reggerebbe sull’anello: l’affezionarsi può percepirsi in via simbolicamente domestica. Ma tutto questo sarà cavalcato onestamente dallo strutturalismo della Tecnica? Non basta riposarsi sull’altana, per contemplare. Il post-strutturalismo dell’inconscio apparterrà alle vertigini dei desideri, che non sono paura di cadere ma voglia di volare (dal cantante Jovanotti). Rimane l’antagonismo degli imprevisti. La progettualità dovrà accettare il prospettivismo. Pare che i dipinti di Fabio Giampietro distorcano un piano cartesiano alle coordinate dei cubi. Ma come si percepirà il risveglio nella realtà, dopo il desiderio del sogno? Il brutalismo dello “spaccone”, col cemento a protezione per la pelle, dovrà resistere al “meteorite” per l’Armageddon (pure laicamente, dai marziani). Moderando l’incubo, l’artista avrebbe preferito la… tempesta. C’è il brutalismo anche nel pozzo artesiano, che funziona da una vibrazione naturale, senza lo sforzo d’un calcolo: da una pompa come dal trompe-l’oeil (ingenuamente estetizzante).

Nel dipinto dal titolo Singularity II, immaginiamo che una Torre di Babele evolva verso una galassia dei marziani. Più che l’ascensione, conterebbe l’incoronazione. Quanto sarebbe “fantasmagorico” sognare che i tanti popoli d’un mondo parlassero la stessa lingua, almeno eticamente? Va ripudiata la guerra. Ma, passando esteticamente dal gotico al brutalismo, i grattacieli che modernizzano le guglie nasconderanno la propria “spinosità”. Conosciamo le nevrosi per le “giravolte” dello stress, al lavoro in ufficio. L’uomo contemporaneo deve fare centro per sete di successo, se nei quadri di Fabio Giampietro il Sole fosse solo ed esclusivamente bagnato. Il brutalismo contraddirebbe la Nascita di Venere, classicamente mediante la conchiglia. Dato un unico palazzo, le numerose ali faticheranno non solo a spiaggiarsi, ma già nel rimanere a galla. Al pittore interesserebbe una focalizzazione sulla corsa, alla perla fra le onde… delle nuvole. Può sembrare una simbologia per il consumismo, il quale non ci soddisfa mai.

Nel dipinto dal titolo Singularity X, si percepisce un pozzo celeste contro l’architettura grigia anche per lo smog. Dunque Fabio Giampietro avrà esorcizzato il rischio della distopia? Si ritroverà il cielo, per spiritualizzazione, oltre la morte? Da una singolarità (citata per la serie di quadri) si passerebbe ad una responsabilità. Il grattacielo a gradoni per lo “scatto” dell’antenna piaceva ai newyorchesi ad inizio ‘900, seguendo l’estetica dell’Art deco. Ovviamente c’è un capovolgimento della prospettiva: dal piano verticale al piano orizzontale. Il grattacielo diventerebbe un pennino, dal tracciato tortuoso seguendo le lettere dell’alfabeto. La metropoli è sempre abissale, all’ago nel pagliaio per il focolaio dell’epidemia o della ribellione, ad esempio. A qualcuno parrà che Fabio Giampietro raffiguri una macchina da scrivere, coi grattacieli per tasti. Quindi il nastro sarà azzurro, citando il premio per la rapidità nell’attraversamento via nave dell’Oceano Atlantico. Questo vieta il riposo contemplativo, al trompe-l’oeil. Grazie alla tecnologia moderna, noi viviamo la smania d’entrare vertiginosamente ma superficialmente in contatto. Forse sarebbe meglio “scandagliare” il dissimulato bullone, al suo paradosso d’una fluidità che sostiene, nel fulcro. L’Art deco può partire dall’alluminio o dall’acciaio. Tali metalli donerebbero la trasparenza al cemento. I motivi si percepiranno alla dialettica fra una mera oscillazione ed un ritmo “strategico”. Lo stesso varrebbe per una macchina da scrivere dal testo “oracolare”.

Nel dipinto dal titolo Singularity VII, noi immaginiamo che un tronco sostenga un unico palazzo, le cui ali si ramificheranno. Più genericamente, la natura lotterà contro l’urbanizzazione? Ci sembra che sia stata raffigurata una pigna, permettendo all’uomo di progredire a “colpi… d’ispirazione”, rispetto al Sole. Dunque vale una simbologia per il vitalismo, il quale però oggigiorno tramuta in iperrealismo. Infatti la tecnologia ci aiuta a creare un nostro mondo. Le ali del “palazzone” sarebbero quelle d’un accumulatore. Ricordiamoci che Fabio Giampietro dipinge un cielo sempre plumbeo. L’uovo che dà la vita necessita di pungolarsi a ricaricarsi, oltre le “squame” al ristagno per un tipico nervosismo in città: basta non trovare il parcheggio, per zigzagare fra i rioni…

Per Sarah Harris Wallman, il treno si disinteressa sempre dei saccopelisti. Loro hanno le “schitarrate” tramite cui fare poesia, le bottiglie d’acqua luride in quanto riciclate, le cartoline per non perdere malinconicamente i luoghi visitati, i gusci di noce sbriciolati sui rivestimenti delle carrozze. In verità la ferrovia sarebbe artistica di suo. Il treno può ammirare le rovine d’un acquedotto, o più semplicemente tanto il rivestimento a quadretti delle carrozze, quanto quello d’un tramonto. Una ferrovia è tale giacché da sempre sotto la novità del viaggio, e rispetto all’uomo che deve “soffrire” per staccare un po’ dalla propria sedentarietà (ad esempio di lavoro).

Nel dipinto dal titolo Singularity VIII, si percepirebbe meglio la “stringa” architettonica al futurismo d’un multiverso. Forse il viaggiatore nel tempo dovrà richiedere per sé una sedia a dondolo in vimini, complice la sua valorizzazione del vintage. I palazzi sarebbero cingolati, dunque alla “schitarrata” dei gusci, se all’ottovolante il cuore romantico suonasse col plettro per l’heavy metal. La sedentarietà al contrario aliena per monotonia, falsando il rilassamento.