A Venezia, dal 28 Gennaio al 7 Maggio, era stata allestita una mostra dell’artista Simon Berger, ed avente per titolo Shattering beauty. Lavorando sul vetro, egli prova a fermare la fugacità della riflessione, ma senza rinunciare alla brillantezza d’una trascendentalizzazione. Tutto questo si sintetizza nella martellata, tramite cui il fantasma dell’istintualità si materializza quantomeno allo stato vegetativo d’una corteccia. Più precisamente, a Simon Berger interessa la raffigurazione del volto. È qualcosa che si conosce “a pelle”, come primo dettaglio d’una personalità. Anche senza scomodare l’imbarazzo per il “colpo di fulmine”, continuamente noi dobbiamo farci un’idea sull’affidabilità degli Altri: in famiglia, a lavoro, con l’associazionismo ecc… A Venezia, l’artista esibisce una serie di cubi, dal vetro verde. Simbolicamente, si tratterà di razionalizzare il vissuto? L’idea che ispira, od al massimo incuriosisce, arriva “martellando” improvvisamente sulla corteccia cerebrale. Se non è un rossore, poco ci manca: noi vi percepiremo un verdore. Oltre il faccia a faccia d’un primo incontro, con l’Altro sconosciuto, bisognerà “indagare” la personalità nascosta sotto la “corazza” del botta e risposta, specialmente laddove si giochi a sedurre. Il verdore deriva dallo stimolo a trascendentalizzare la “pelle”. Se qualcuno ci piace, allora noi “rifioriremo” per il desiderio di frequentarsi. Vitalisticamente, l’istinto “urtante” dei sensi inizierà a scorrere “cognitivo” sulle vene. Si programmerà il secondo appuntamento… Al contrario, la società contemporanea spesso “si blocca” al godimento d’un (solo) momento: fondamentalmente per via del consumismo, in economia. Sui propri cubi di vetro, non ci sembra che Simon Berger si limiti a “scartare” un prodotto. O forse torna il simbolismo del gioco. Il dado serve per affrontare la sorte… Scolpendovi la fugacità, l’artista virtualmente “si scervella” alla “brillantezza” di trovare “l’idea giusta” per il “senso” d’ogni incontro da lui fatto. Non si può mai vivere da soli: inizieremmo ad accusare un destino (troppo) avverso. Il faccia a faccia con lo sconosciuto richiede di “sedimentare” una frequentazione. Si partirà dall’astrattezza d’un dialogo. Spesso, capita che la prima impressione sia erronea, ed “urtando” per mancanza d’empatia. Ognuno rimarrà “duro”, nella “corteccia” dei propri pregiudizi. A noi sembra che la martellata di Simon Berger voglia distruggere per svelare. È la stessa dinamica che, astrattamente, vale per i pregiudizi mentali, da (quantomeno) saggiare, nella loro capacità di convincimento affidabile. Certo per l’artista la crepa apre alla bellezza d’una nuova luce. Se qualcuno ci piace davvero, al di là dell’impatto sul volto, allora noi gli perdoneremo i difetti. Questi saranno trascendentalizzati nella propria ineluttabilità. Né si tratta “d’insabbiare” un problema, se il fantasma svelato dall’artista vive d’una corteccia quantomeno “ispirante”. Però nessuno è perfetto, coi difetti che servono a valorizzare dialetticamente i pregi. A Venezia, il noto Museo del Vetro all’isola di Murano aveva ospitato la mostra per la curatela di Sandrine Welte e Chiara Squarcina.
Alcuni cubi possono percepirsi a giustapposizioni di lastre, passando dalla corteccia vegetativa per un fantasma alla cornice per una fotografia, grazie alla camera ottica. Il minimalismo avrà un’estetica che non rinunci ad immortalarsi nella sua monumentalità, rispetto all’ambiente circostante, dove “errano” i dettagli strettamente accessori. Le lastre paiono impilarsi, e per una riflessione dal costruttivismo sempre impressionale. Citando Roland Barthes, lungi dal fissare il basilare punctum d’una fotografia, dal quale s’espanda il senso della composizione, i cubi di Simon Berger ondeggerebbero al “miraggio” d’una sonorità. Basterà riconoscervi un mantice, al posto d’una tastiera. L’udito è il senso che esteticamente non filtra una propria membrana, alla “spettralità” astratta del suono. Così percepiamo che l’orecchio abbia la miniatura d’una “monumentalità fluttuante”. Il verdore del vetro sembra quello tradizionale per la scheda madre d’un televisore. Però qui le mancano tutti i contatti. Sarà preferibile la percezione d’una cassa acustica, la quale accoglierà un’elettrizzazione stridente, se frantumata dall’artista al fine di rivelare il logo d’un teschio, come piace a molti gruppi dell’heavy metal…
Una serie di cubi sembra positivamente capace di riflettere una bellezza “albeggiante”. Il sole si scolpisce quando i suoi raggi verdeggiano in natura, passando dal martellamento dell’ossigeno (per la fotosintesi clorofilliana) allo scorrimento d’una linfa, la quale in aggiunta accetta la purezza del bianco. Ma forse noi vi sveleremo un antropomorfismo simbolistico. Dalla figura del sole albeggiante, si può passare a quella dell’oracolo per un destino. Senza la luce, nemmeno esiste la vita. Nell’arco fra la nascita e la morte, ciascuno di noi sarà allenato a domandarsene il senso ricevendo un input dal < Buongiorno; che cosa fai di bello oggi? >. Pare che Simon Berger nei cubi spezzi una lancia… “di luce” in favore del teschio. Contro la morte, l’arte conserverà il potere di fantasticare sulla “maschera del nostro destino”. Chi può negare con sicurezza, dal mondo materiale, che l’aldilà sia “splendente”, anche a prescindere dai “cocci” per un corpo perduto? Altri artisti in passato trattarono il tema del fantasma “sorpreso” dalla vitalità: si pensi a Bill Viola. C’è un cubo accanto ad una palla, con la seconda chissà quanto “colpevole” per aver urtato e lacerato il primo. In effetti qualcuno vi potrà percepire il grembo per la generazione.
Paul Scheerbart scrisse che, diffondendosi l’architettura di vetro, una popolazione avrebbe più stabilità di vita. Nell’età contemporanea, certo noi tendiamo ai passatempi riposanti. Lo sviluppo delle immagini digitali invoglia ad uscire di casa. Il collegamento televisivo o telematico permette una contemporaneità per la realtà lontana. Agli albori di questo noi avevamo avuto il vetro architettonico (studiato da Paul Scheerbart alla fine dell’Ottocento). È un materiale che porta la casa ad accogliere la realtà esterna, in apparenza senza una discontinuità visiva. Od almeno bisognerà evitare di “sbiadire” il vetro, mediante l’insegna pubblicitaria? Lì la trasparenza si percepisce illusoria, in quanto avente “un secondo fine”. Chi accoglie qualcuno o qualcosa di certo si sente bene, con sé e con l’Altro.
A volte Simon Berger “puntellerebbe” le figure, essenzialmente per il “carico” del simbolismo, oltre ogni contraddizione di primo acchito. In specie, la frantumazione proverà ad infondere una brillantezza: tanto al rossore emotivo della guancia, quanto al “grigiore” della fronte in cui i pensieri s’avviluppano (se non per la malinconia, di certo per l’introspezione). L’artista propone l’inquadratura di profilo. Tramite questa, la riflessione dello specchio tenderebbe a risolversi più in se stessa che per il visitatore esterno, dalla mostra. D’altro canto i cubi possono essere avvicinati in rimodulazioni asimmetriche. La figura del volto si percepirà fugace, sotto i ripetuti colpi del destino. Normalmente, al costruttivismo estetico noi associamo l’umanismo del supporto. Però si cede all’ansia, seguendo al gioco il dado lanciato in aria, quando tutte le facce s’illudono di poter svelare una cifra all’unanimità. Alla fine un’idea si farà preferire. Bisognerà valutare il nostro grado di soddisfazione. Coi volti di profilo, noi immaginiamo che l’anima speranzosa “s’aggrappi alla cordicella” del naso. Dunque a pelle (dall’emotività) si proverà ad intuire (dalla mente) quale sarebbe il proprio destino, che comunque “pesa” sul singolo individuo.
Una monumentalità esteticamente più evidente, negli allestimenti dell’artista, concerne la torre. Ma forse vi conteranno in misura maggiore i “segnali di fumo”, all’alzarsi delle lastre in vetro come “tende veneziane”. Il soggetto nascosto susciterà un desiderio da appagare. Da uno spionaggio mediante le “tende veneziane” in miniatura, si leverà in cielo il “periscopio” d’un volto ingrandito, complice il taglio a metà. È qualcosa che s’usa in acqua; e qui le lastre di vetro si percepiscono ondeggianti, orizzontalmente. Ma il desiderio non può accontentarsi del “fumo”. Come un radar, a quello servirà l’intercettazione. Tutti devono ammettere d’aver provato, almeno una volta, a fantasticare sulla vita privata d’un dirimpettaio sconosciuto, nel condominio dai tanti appartamenti. Il totem di Simon Berger si percepirebbe rugoso, e “sprizzando dai pori” una trasparenza paradossalmente carnale. Allo stato vegetativo (dal tono verde) del desiderio primordiale, l’artista ha aggiunto il radar per il cognitivismo della seduzione. Non è un caso che il sopracciglio appaia pronunciato. Esso tira il suo accerchiamento per l’occhio. Il desiderio naturalmente è martellante, prima di raggiungere l’appagamento, trasfigurando nella “preziosità” d’una carezza (anche bagnata, col bacio) ciascuna “ruga” o “tapparella” di chi all’inizio noi nemmeno conoscevamo, e forse per ritrosia ad un incontro.