Per la prima volta in Salento, Orlan è stata protagonista, nel luglio scorso a Galatina, della quarta edizione di Perform(her), il progetto della residenza internazionale Domus Art Residency ideato da Romina De Novellis, che ruota intorno alla performing art partendo dalla ricerca sul tarantismo, e che prosegue con le residenze autunnali avviate a settembre, ospitando le artiste Federica Zianni, Serena Antignani e Sara Terracciano. Artribune ha intervistato l’autrice francese, che fin dagli anni ’60 ha basato la sua ricerca artistica sulla liberazione del corpo, contestando i dettami sociali attraverso il pensiero critico e l’ironia ed adottando i differenti linguaggi espressivi: dalla scultura alla fotografia, dalla performance al video, dalla realtà aumentata all’intelligenza artificiale e robotica, avvalendosi anche di tecniche mediche nei campi della chirurgia e biotecnologia.
La liberazione del corpo umano dalla dicotomia maschile-femminile attraverso la performing art costituisce una delle tematiche fondanti della tua opera. Qual è la connessione tra il contrasto agli stereotipi di genere, l’ottica femminista e la ricerca sul fenomeno del tarantismo, dalla quale prende avvio l’iniziativa Perform(her)?
Ho sempre lavorato nel settore privato, nel settore pubblico e nella mia arte per garantire che lo stato delle donne ed i corpi delle donne fossero liberati, emancipati e uguali in questo agli uomini. Com’è possibile che l’aborto, la contraccezione o il matrimonio per tutti siano messi in dubbio? La Chiesa pretende di essere dissociata dallo Stato ed in relazione alla nudità è molto strano che coloro che credono in Dio si permettano di intervenire nelle vite degli altri, specialmente se crediamo che Dio abbia creato l’essere umano a sua immagine e somiglianza, interventi considerati “capolavori” da mostrare per pagare un tributo a Dio. Non chiediamo a coloro che non vogliono fare l’amore prima del matrimonio di non sposarsi o di divorziare o di abortire o di essere omosessuali, così dovrebbe essere totalmente simmetrico e reciproco che nessuno debba intervenire nella vita privata altrui. Ma le religioni sono fatte dagli uomini per gli uomini per mantenere il patriarcato e la misoginia. Le conseguenze sono serie perché il femminismo non uccide, mentre il patriarcato si. Il seminario sul tarantismo m’interessa molto perché ruota intorno alle donne che sono completamente oppresse, alienate dal peso della religione e dai ruoli che vengono loro imposti. Le tarantelle erano capaci di liberarle durante alcuni tipi di crisi nelle quali esponevano il corpo in pubblico, in un disperato tentativo di liberarsi da tutto ciò che le opprimeva. Era una domanda pubblica per la liberazione dei loro corpi.
Il corpo, come sottolinea Gòmez-Pena, costituisce, nell’ambito della performance, “contenitore di identità mutanti”. Spesso hai utilizzato, fin da Corps-sculpures del 1964-67, il tuo stesso corpo nelle azioni performative, come “tela” per creare arte, sfidando i dettami sociali e generando nuove e molteplici identità. Qual è, a tuo avviso, il rapporto tra corpo e identità?
Sono a favore delle identità mutanti, in movimento, nomadi…le identità fisse creano orrori di comunitarsimo senza atteggiamento critico. Per me, l’identità è cosa mettiamo in gioco ogni giorno, le identità sono flessibili, s’interrogano e si emancipano costantemente. Pensare è sempre pensare contro qualcuno perché l’Io è prodotto, formattato dagli altri. Ecco perché dico io “siamo” e non io “sono”!
Nella performance Se vendre sur les marchès en petits morceaux che si svolse nel 1966-67 in Portogallo, il leit-motiv dell’azione era la domanda “Il mio corpo mi appartiene realmente?”. Qual è stata, infine, la tua risposta al quesito esistenziale?
Possiamo provare a pensare che il nostro corpo appartenga a noi ma appartiene allo Stato e alla società.
Nel tuo manifesto sull’Art Charnel del 1989 hai stigmatizzato che L’arte carnale è un autoritratto in senso classico ma realizzato per mezzo della tecnologia odierna. Oscilla tra defigurazione e rifigurazione. Da qui, l’introduzione, nelle tue azioni performative, di scienza e tecnologia, arrivando alle performance The Reincarnation of Saint ORLAN o Image/New Image (1990-1993), in cui ti sei sottoposta ad interventi di chirurgia estetica e alla creazione, nella mostra Artistes & Robot del Grand Palais di Parigi del 2018 di ORLAND-OIDE, il robot umanoide che ti rappresenta. A tuo avviso, dunque, scienza e tecnologia applicate all’arte contemporanea costituiscono – al di là dei problemi etici che emergono al riguardo - uno strumento di contestazione politico-sociale?
Ho iniziato il mio lavoro con la scultura, il disegno e la pittura, poi ho considerato che il corpo, come materiale tra i materiali. Perché sono un corpo, nient’altro che un corpo, un corpo totale ed è il mio corpo che pensa. Ogni cosa che siamo è politico, il corpo è politico, il privato è politico. Sono un’artista non soggetta ad un materiale o ad una pratica artistica, ad un modo di dire, a una tecnica o ad una tecnologia, se sia vecchia o nuova. Provo a dire cose importanti per la mia epoca, non sono né tecnofila ne tecnofoba, ma amo vivere il nostro tempo con le relative conquiste tecnologiche. Quando ero un’adolescente, nei miei sogni più selvaggi non potevo immaginare che un giorno avrei avuto un androide nella mia tasca, che mi avrebbe detto dove fossi e quanto lontana fossi da un museo per visitarlo. E al quale avrei potuto rivolgere molte domande alle quali, nella maggior parte dei casi, gli adulti non conoscono o conoscono solo in modo approssimativo le risposte. Mi sono interessata molto presto al linguaggio del video, fin dalla sua invenzione, poi all’antenato del minitel di internet e successivamente ho creato lavori in realtà aumentata, e non semplicemente per usare una tecnologia ma perché questa determinata tecnologia mi ha permesso di dire qualcosa d’importante.
Nella postmodernità, costituita dalla società liquida iperconnessa che Baudrillard identificava con il concetto di iperrealtà, l’arte contemporanea può ancora, a suo avviso, avere una valenza rivoluzionaria, di rottura, liberando l’artista dall’omologazione?
Non è l’arte ad essere libera, sono gli artisti ad essere liberi e/o che liberano se stessi e spostano le barre della gabbia. Ho realizzato un lavoro che dice molto su questo “cercare di uscire dalla cornice”. Ho cercato di fare questo per tutta la vita e lo faccio ancora.
Com’è cambiato, oggi, il movimento femminista rispetto al ‘68?
Per il momento, sono inconsolabile, sento che la mia vita è stata inutile, perché, dopo alcuni progressi, tutto si sta chiudendo. Come mai non è possibile mostrare un corpo, un seno femminile su instagram o facebook senza che la pubblicazione venga cancellata o sfocata? Per me è davvero aberrante. Oggi siamo sotto la tirannia della censura, come quando ci si allontana da tutti i capolavori di Michelangelo nella Cappella Sistina. Uno si meraviglia sempre di come la società produca uomini capaci di molestare, gridare, picchiare e uccidere e donne, formate in modo da rimanere nell’ombra e da non sentirsi mai legittimate nella loro vita sociale. Sono stata molto sorpresa per il “balance ton porc” che gli uomini sentono, in base al quale loro pensano che noi denunciamo solo chi picchia, molesta, violenta…ci dovrebbe essere un importante movimento degli uomini che dicono “noi non siamo quegli uomini e siamo con le donne perché non siamo per la guerra dei sessi ma gli uomini hanno fatto la guerra con le donne per secoli”. Il femminismo non uccide, ma il machismo e la misoginia si.
Cosa pensi del sistema dell’arte?
Il sistema dell’arte è un riflesso della società e non supporta le donne. Sai cosa dicono le Guerrilla Girls: “essere un’artista donna è fantastico perché la nostra carriera può esplodere da 80!” E puoi vedere come gli artisti maschi vendano di più ed a prezzo più alto. Ci sono poche donne al top del mercato internazionale ad eccezione di poche americane.
Qual è il tuo ideale di bellezza?
Non ho modelli, ho dimostrato di essere contro i modelli designati. La bellezza è una domanda. La bellezza è un dettame dell’ideologia dominante che racconta le donne in un punto geografico e storico particolare, di come debbano apparire per essere considerate bellissime.