La precarietà esistenziale, il divenire dei processi psichici, l’esplorazione della memoria, la concezione ludica dell’arte, il viaggio nella dimensione dell’effimero. Sono queste alcune caratteristiche essenziali della poetica di Mattia Giordano (Torino, 1995), che si esprime attraverso una pluralità di linguaggi, spaziando dalla fotografia alla videoarte, dalla pittura all’installazione. L’artista trasforma oggetti d’uso quotidiano abbandonati riportandoli a nuova vita, e predilige l’utilizzo della carta e di materiali effimeri, anche per la creazione di opere minimaliste, costituite da intrecci geometrici che riflettono gli articolati percorsi delle dinamiche mentali. Per la rubrica “Focus on artist”, Lobodilattice ha intervistato Mattia Giordano:
Come nasce il tuo amore per l’arte?
Non mi viene in mente un momento preciso di transizione, credo sia più un aver mantenuto quel senso del gioco comune nei bambini. Una sorta di interesse nel vedere il mondo anche per quello che non è.
Quali sono state le tappe più significative della tua formazione?
Bruciare le tappe (perdona il gioco di parole) è stato di aiuto, nel mio caso. Mi sono allontanato presto dagli studi per lavorare come film-maker e fotografo. Ho potuto “imparare sul campo” ed è stata un’opportunità importante.
Fotografare sconosciuti per strada è stato il mio primo approccio alla fotografia e credo abbia influito in maniera concreta nel mio modo di vedere il mondo. Mi interessava la ricerca alla base del prodotto finale, come per il video: c’è una progettualità non indifferente che mi ha sempre affascinato. Due anni fa, invece, ho deciso di focalizzare la mia attenzione su una ricerca che fosse personale, di Mattia e per Mattia, per intenderci. Mi sentivo mosso da una necessità diversa, così ho preso uno studio in cui ragionare e sperimentare concretamente. È stata una tappa importante perché mi ha permesso di scoprire molto di me, e sulla mia produzione di conseguenza.
Quali sono stati gli artisti, i maestri che ti hanno ispirato finora, nell’ambito del tuo percorso artistico?
Pascali per lo spirito del gioco. Salvo per il potere trasformativo della visione sui luoghi. Boris Vian per un motivo affine a Salvo: l’utilizzo della poesia e della leggerezza del meraviglioso per raccontare vicende assolutamente tragiche.
La tua ricerca verte sul concetto di precarietà, di transitorietà, sul senso dell’effimero e in particolare prendi in esame gli oggetti di uso quotidiano, simbolo della società dei consumi, stravolgendone la funzione primaria. E’ un riferimento indiretto a Duchamp?
Potrebbe anche essere un riferimento alla sedia su cui sono seduto.
Nelle tue opere su carta ricorre spesso il motivo dell’intreccio che, a tuo avviso, riesce a non farti perdere la concentrazione. Puoi spiegarne il motivo?
Si tratta di una serie di lavori, intitolata “qualcosa, qualcosa, niente” (2024), che per me sono un modo di allenare la concentrazione e registrare le numerose linee di pensiero simultanee. Sono intrecci con una alternanza regolare nella trama e ad ogni interruzione di questa regolarità corrisponde una distrazione, la sua durata e il momento in cui mi sono arreso a quel pensiero o sono tornato su quello precedente.
Nella serie di opere in argilla “Mobili stanchi” metti in luce gli effetti dell’azione umana sugli oggetti. Hai una concezione panpsichista? Gli oggetti, a tuo avviso, hanno un’anima?
Mi piace immaginare che anche gli oggetti abbiano un’anima, ma allo stesso tempo non amo possederne troppi. Probabilmente per prestarci la giusta cura e usarli con intenzione. Ci accompagnano nella nostra quotidianità e assolvono delle funzioni specifiche, spesso risparmiandoci del tempo e delle energie. Nei miei lavori, la stanchezza che ne deriva sta un po’ nell’addossarsi i nostri compiti, corpi e necessità.
Qual è la tua opinione sull’uso dell’IA nell’arte?
Credo lasci spazio per sperimentare molto, ma a me piace lavorare sul reale, toccare con mano la materia.
A tuo avviso l’arte è rivoluzionaria?
L’arte è fatta, per ora, da esseri viventi. La rivoluzione sta nell’attitudine delle persone e nella loro abilità di creare opere che smuovano i corpi, che pungano, in qualche modo.
Note biografiche
Mattia Giordano, nato a Torino nel 1995, è un artista che esplora la poeticità degli oggetti quotidiani e l’effimero nelle abitudini. Attraverso tecniche di catalogazione e raccolta di oggetti abbandonati, Giordano trasforma questi ultimi in opere che uniscono archiviazione e narrazione personale. Utilizza spesso carta e materiali effimeri, creando immagini che evocano la transitorietà e il ricordo. Il suo approccio minimalista privilegia il bianco e nero, riflettendo un’estetica meditativa e un’indagine sul ruolo della memoria e della ripetizione.
Mostre collettive
- “Livia+Mattia”, Colla Super – Milano – 2023
- “Sprint Art Book Fair”, Spazio Maiocchi/Assocazione Barriera, Milano - 2023
-“Not fungible choc”, Galleria Lazzaro, Genova - 2023
- “Art Innovation”, Museo Bagatti Valsecchi, Milano - 2022
- “Plas Collective”, Scalo Lambrate, Milano – 2022
- “2121”, Museo della Permanente, Milano - 2021
- “Here”, Cavallerizza Reale, Torino – 2019
Residenze d’artista
-“Ramdom”, Stazione Ninfeo, Lecce - 2024
-“Project Room”, Museo Sigismondo Castromediano, Lecce - 2023
- “Shine Ruin”, Cross Project + Instituit Francais, Ameno - 2022
- “Party TV”, MACA Museo Arte Contemporanea, Alcamo - 2022