La ridefinizione del concetto d’identità, attraverso i new media, nella “società di simulacri” - che contraddistingue, come spiega Baudrillard, la postmodernità - costituisce l’architrave tematico di “Other Identity, altre forme di identità culturali e pubbliche”, nutrita mostra collettiva in programma a Genova fino al 23 marzo. 52 artisti inediti, italiani e stranieri, uniti dal medesimo linguaggio espressivo, la fotografia, si confrontano sul concetto d’identità in continua trasformazione e sulla spettacolarizzazione del sé nell’epoca dell’iperreale, nell’ “era dell’accesso”. E sono ben quattro gli spazi espositivi scelti, per la seconda edizione di Other Identity, dal fotografo Francesco Arena, curatore e ideatore del progetto: Galleria ABC-ARTE, Galleria Guidi&Schoen-Arte Contemporanea, Primo Piano di Palazzo Grillo e Sala Dogana a Palazzo Ducale. Spazio anche, in tutte le location, a performance, video rassegne, installazioni e alla new media art. Ma rimane la fotografia, come spiega l’artista e curatore genovese, “il medium privilegiato in ogni sua forma, sia essa analogica o digitale, utilizzata attraverso reflex professionali o smartphone, usata sempre con consapevolezza e coerenza dall’artista che la piega alla propria ricerca personale”. Per la rubrica “Focus on Cultural Worker”, Lobodilattice ha intervistato Francesco Arena per approfondire la genesi e le tematiche che sottendono Other Identity.
Quali sono le novità rispetto alla prima edizione di “Other Identity”?
Questo nuovo upgrade di Other Identity, dopo l’edizione del 2016, conserva le caratteristiche principali che lo hanno contraddistinto nella prima uscita. Ora più che mai Other Identity corrisponde al tentativo di assottigliare le distanze tra artista e galleria, artista e critico-curatore, artista e il suo pubblico.In questa seconda edizione saremo ospitati da tre tra le più importanti gallerie genovesi: Galleria ABC-ARTE, Galleria Guidi&Schoen-Arte Contemporanea, Primo Piano di Palazzo Grillo e Sala Dogana a Palazzo Ducale, uno degli spazi ufficializzati più dinamici ed energici di Genova.Un’edizione di Other Identity che - dopo la prima uscita in un enorme contenitore, la Loggia della Mercanzia sempre a Genova - si presenta come “unplugged”: una “musica per gli occhi”, in cui, attraverso le opere d’arte, i progetti visivi e quelli sonori intendiamo mostrare le contaminazioni esistenti tra le arti visive e quelle performative, oltre al legame indissolubile che si crea con la musica contemporanea.Questa volta la nostra intenzione è quella di entrare direttamente negli spazi adibiti all’arte: le gallerie. Rispettando le peculiarità che ogni spazio offre, irrompendovi a volte in maniera violenta, a volte più discreta e intimista ma sempre con grande carica di energia nel bianco delle pareti e nel legno dei parquet, con lavori coraggiosi e viscerali, che provano a spogliarsi e guardarsi allo specchio come quando si cerca di riconoscersi in un’immagine riflessa, cercando di capire l’origine di quelle forme, di quei lineamenti…le nostre somiglianze e le nostre differenze.Ecco, Other Identity quest’anno più che mai presenta artisti legati da questo comune denominatore, artisti che con le loro opere si mettono in gioco in prima persona e parlano di se stessi in maniera diretta, a carte scoperte, senza mediazioni, attraverso sensibilità diverse ma sincere; i colori delle stampe fotografiche, dei video, delle installazioni esplodono questa volta nell’austerità ed autorevolezza degli spazi privati, nell’eleganza delle location, affrontando con lucidità ed energia questa sfida che per molti artisti è la prima grande prova ufficiale.
Com’è nato il progetto e quali sono le finalità?
Il progetto parte da una domanda e un’esigenza. La domanda è quella che mi spinge, attraverso il mio lavoro artistico, alla ricerca di continui riscontri. Il confronto e lo scambio emotivo è alla base del mio lavoro che tende autobiograficamente verso un’analisi del sé e delle sue sfaccettature; l’esigenza è quella di lavorare verso l’identificazione degli stadi che fanno parte del processo emotivo, emozionale della nostra rappresentazione nei confronti del mondo.
Fulcro tematico di Other Identity è l’analisi del concetto d’identità e la spettacolarizzazione del sé nell’ambito della postmodernità liquida dominata dall’apparire, che, attraverso i new media, travolge la categoria dell’essere. Approfondiamo il tema dell’autorappresentazione: qual è - a tuo avviso e in base a tali premesse - il futuro dell’arte contemporanea?
Si, uno dei temi di Other Identity è anche il cambiamento nell’uso della nostra immagine e del suo trattamento non solo attraverso la nuova tecnologia, che ha trasformato inconsapevolmente il nostro bisogno di apparire, ma anche l’esigenza pornografica di mostrarci perché ci viene richiesta un’esposizione pubblica continua.
Ecco, su queste basi e per gli artisti che, come noi, lavorano su queste tematiche, m’interessa il lavoro che l’arte potrà fare in questa direzione. Non mi emozionano più le opere che abbiano una sola valenza estetica o estetizzante, ma quelle che scavano nel profondo, che cercano risposte, che si pongono delle domande che si allontanano dall’estetica patinata o dal fine art, che si sbarazzano dagli accademismi e dalla retorica “dell’osservare passivamente” un’immagine o un’installazione senza rimanerne segnati, colpiti, coinvolti. Spero che il futuro dell’arte vada nella direzione del nostro sentire e ci accompagni e ci aiuti a comprendere il nostro reale e il nostro ruolo in esso. Spero ci metta in discussione con noi stessi sempre di più.
Cinquantadue artisti, italiani e stranieri, si confrontano, per Other Identity, su quattro diverse location, soprattutto attraverso il linguaggio fotografico. Puoi delineare i tratti essenziali della loro opera?
Other Identity si occupa di decifrare un fenomeno ormai comune ma che ha cambiato radicalmente il modo di “vivere” ed “interpretare” la nostra immagine, che è diventata continuamente esibita e pubblicizzata: il nostro modo di autoritrarci e di presentarci al mondo.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire; si creano così delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce, costruiamo il nostro profilo emotivo attraverso una personalità che ci rappresenta o quanto meno vorremmo ci rappresentasse, e spesso questa nostra costruzione ci fa effettivamente credere di essere così, come se avessimo bisogno di inventare un’immagine pubblica che ci sostituisce per avere un ruolo e un peso nel mondo.Il tratto unitario di ogni artista del progetto è costruire un tassello che, insieme ad altri, delinei queste nuove rappresentazioni attraverso la performance, la fotografia, il video, l’analisi dell’identità di genere.Una mostra, quindi, sulle nuove forme di identità e sulle sue continue trasformazioni che vede gli artisti su questi temi in maniera libera e personale, fluida e graffiante, indisponente e romantica.
Com’è nato il progetto Other Identity?
Dall’esigenza di focalizzare le sfaccettature che caratterizzano il nostro uso consapevole o meno di mutare il nostro apparire dal pubblico al privato; dalla voglia di capire il confine tra le nostre espressioni più enigmatiche, misteriose e oscure portandole in superficie.
Qual è il futuro della fotografia nell’era dello smartphone e di Photoshop?
Quello di non rimanere legata ai clichè che l’hanno caratterizzata per anni come “la fedele riproduzione della realtà” o la sua concettualizzazione. La fotografia contemporanea sta vivendo l’epoca della sua definitiva democratizzazione. Oggi siamo “tutti fotografi”con la diffusione capillare ed a basso costo di apparecchi fotografici che incentivano una produzione abnorme di immagini, all’interno della quale è difficoltoso trovare elementi di valore. Ecco quindi la necessità di un reale coscienza e memoria storica di ciò che è stata e rappresenta la fotografia nel contemporaneo ma non solo, parlando di artisti, nell’arte contemporanea abbatterei definitivamente il concetto di “fotografi” ma parlerei di artisti che utilizzano il medium fotografico. Esiste un’immensa differenza tra le due categorie. Non m’interessa e forse non mi è mai interessato fare un buona immagine, avere le conoscenze per lavorare e sfruttare bene il nostro smartphone o la nostra fotocamera; mi è sempre interessato avere le basi necessarie per poter utilizzare con libertà e creatività il mezzo con il quale ho deciso di esprimermi. Occorrerebbe quindi fare un distinguo: l’artista che realizza fotografie è colui che scatta con cognizione di causa, che segue un progetto, che ha scelto di utilizzare l’immagine con la consapevolezza del potere dirompente ed immediato che può avere, mentre gli altri sono semplici persone con un apparecchio fotografico in mano. M’interessa seguire il fluire del linguaggio fotografico in mano agli artisti e alla loro libertà.
Ci parli della tua formazione artistica? Quali sono stati, se ci sono stati, i maestri di riferimento che hanno ispirato il tuo percorso?
Molto classica: Liceo artistico, Accademia di Belle arti, ma da subito ho avvertito l’esigenza di cambiare quello che era stato studiato sui libri e di contaminare; mi sono da subito sentito attratto dai linguaggi usati per comunicare più che da un mezzo tecnologico specifico e da qui il mio esprimermi di volta in volta con linguaggi utilizzati spesso nella comunicazione pubblicitaria come gli still-life o i videoclip, la parola e i titoli delle opere che spesso diventavano parte integrante del lavoro. I miei riferimenti sono stati Fidia, Andres Serrano, Robert Mapplethorpe, Terry Richardson e tantissimi altri.
A tuo avviso l’arte è rivoluzionaria?
Solo per chi ha la consapevolezza di rappresentare un mezzo d’indagine e di sapere. Come il colore che ci riconnette alla vita, all’emotività, al desiderio, l’arte deve avere l’eye contact, deve guardarci negli occhi ed esprimere il desiderio di cercare la comprensione, anche attraverso il bisogno di auto rappresentazione, che ci lega da sempre alla nostra immagine che prima conservavamo nelle scatole di cartone o nei nostri album ed ora nelle memorie digitali o nei nostri smartphone…si ricollega a Narciso: ognuno di noi ha bisogno di specchiarsi, di rappresentarsi, di autorappresentarsi… è insito in chi ha dipinto Narciso, in Narciso e in noi che ci vogliamo consacrare, ricordarci. Tutto si unisce, la vanità e l’affetto. La rivoluzione sta nel vivere la nostra vita anziché ricordarla ed utilizzare l’arte per comprenderla meglio attraverso la sua sublimazione.
Trovo più rivoluzionario cercare di comprendermi che di comprendere il mondo circostante, per me forse l’arte in questo senso è la mia rivoluzione.
Cecilia Pavone
Fino al 23 marzo 2019
“Other Identity” - Altre Forme di identità culturali e pubbliche
Mostra collettiva, performance e videorassegna
A cura e di Francesco Arena
Artisti:
Karin Andersen; Holger Biermann; Silvia Bigi; Isobel Blank; Manuel Bravi; Silvia Celeste Calcagno; Marco Cappella; Ivan Cazzola; Maurizio Cesarini; Cinzia Ceccarelli; Chiara Cordeschi; Giacomo Costa; Davide D'Elia; Amalia De Bernardis; Emanuele Dello Strologo; Montserrat Diaz; Boris Duhm; Patricia Eichert; Nadja Ellinger; Erresullaluna + Chuli Paquin; Francesca Fini; Nadia Frasson; Giorgio Galimberti; Debora Garritani; Chiara Gini; Federica Gonnelli; Christina Heurig; Corinna Holthusen; Giacomo Infantino; Donatella Izzo; Richard Kern; Sebastian Klug; Sandra Lazzarini; Francesca Leoni; Francesca Lolli; Tore Manca (Mater-ia); Giulio Romolo Milito; Monica Mura; Alessandra Pace-Fausto Serafini; Alexi Paladino; Carmen Palermo; Phoebe Zeitgeist; Ophelia Queen; Francesca Randi; Bärbel Reinhard; Christian Reister; Natascia Rocchi; Solidea Ruggiero; Paula Sunday; Marcel Swann; Roberta Toscano; Mauro Vignando; Ramona Zordini.
Galleria Abc Arte
Galleria Guidi&Schoen – Arte Contemporanea
La Dogana – Palazzo Ducale
Primo Piano di Palazzo Grillo
Genova
VERNISSAGE 8 MARZO in tutte le sedi, h 17, ingresso libero
Performance
Vernissage Venerdì 8 Marzo:
H. 17:00 | Nadia Frasson (Guidi&Schoen-Arte Contemporanea)
H. 19:00 | Cinzia Ceccarelli (ABC-ARTE)
H. 20:30 | Francesca Fini (Sala Dogana-Palazzo Ducale)
H. 21:30 | Electronic Live: FLeUR/Enrico Dutto-Francesco Lurgo (Sala Dogana-Palazzo Ducale)
Finissage: venerdì 23 Marzo:
H. 20:00 | Electronic Live: Luca Fucci; The Deep Society/Valerio Visconti-Mirko Grifoni (Sala Dogana-Palazzo Ducale)
Video Rassegna
Vernissage Venerdì 8 Marzo:
H. 17:00 | Francesca Fini (Sala Dogana-Palazzo Ducale)
E poi: venerdì 15 Marzo:
H. 17:00 | Phoebe Zeitgeist; Francesca Lolli (Sala Dogana-Palazzo Ducale)
Spazi e orari
Galleria ABC-ARTE: Via XX Settembre, 11/A
Mart-Sab 09:30-13:30 | 14:30-18:30 Dom e Lun su appuntamento
Galleria Guidi&Schoen-Arte Contemporanea: Piazza dei Garibaldi, 18R
Mart-Sab 10:00-12:30 | 16:00-19:00
PRIMO PIANO di Palazzo Grillo: Vico alla Chiesa delle Vigne, 18R
Merc-Dom 16:00-20:00
Sala Dogana-Palazzo Ducale: Piazza Matteotti
Mart-Dom 16:00-20:00
Info
otheridentity.project@gmail.com
www.otheridentity.it
www.facebook.com/OTHERIDENTITY.project
+39. 340.25.40.631
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FRANCESCO ARENA
• info/contatti:
Francesco Arena /visual art/independent curator:
tel. 340 2540631
francesco.arena@libero.it
francesco.arena.visualart@gmail.com
>skype:francesco.arena66
>twitter:twitter.com/arena_sisko
>portfolio:www.francescoarena.it
>canale youtube:www.youtube.com/c/FRANCESCOARENA-visualart
>pagina facebook:www.facebook.com/FrancescoArena.contemporaryart
Biografia
Francesco Arena è un artista visivo italiano, fotografo, performer, videomaker, art director di eventi artistici.
Dopo il Liceo artistico e durante la frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Genova, si avvicina alla fotografia e nel 1985 decide che quello sarà il mezzo privilegiato nel suo lavoro per l’estrema aderenza alla realtà, (almeno in apparenza) e il suo potenziale espressivo immediato.
Opera da anni nel campo dell’arte realizzando progetti anche site specific; oltre a serie fotografiche e polaroid, struttura installazioni che interagiscono con l’utilizzo di oggetti quotidiani, fotografie e video proiezioni.
Indaga sul ruolo delle immagini nella società contemporanea e sulla possibilità di ribaltare le nostre abitudini interpretative; gran parte del suo lavoro consiste in una riflessione sull’atto stesso del vedere, sulla costruzione della “rappresentazione”, sul concetto di “identità” e su come noi stessi guardiamo le immagini, proiettando su di esse significati che sono loro estranei e che provengono dalla nostra stessa esperienza autobiografica, culturale e sensoriale. L’atto dell’inquadratura diventa non solo un dispositivo formale ma anche e soprattutto, un dispositivo interpretativo a disposizione dello spettatore; per questo motivo le sue immagini/installazioni non sono accompagnate da un titolo preciso (ma radunate in serie o cicli), nè la loro origine è in alcun modo chiarita.
Anche gli stili fotografici utilizzati mutano in base ai lavori, ora più classici ora più legati al linguaggio mass-mediale della pubblicità e della moda. Questo per mantenere il più possibile un legame con una forma di comunicazione e un codice interpretativo comune, mettendolo continuamente in discussione.
Ultimamente sceglie la tela vinilica come supporto privilegiato delle sue opere, eliminando tutti gli elementi classici della presentazione fotografica quali cornici, passepartout o pannellature, concentrandosi così sull’impatto visivo dei suoi lavori e sull’essenza dell’immagine stesa come un telo reso tridimensionale da supporti invisibili, oppure usata come una seconda pelle che ricopre e riveste a volte non solo il corpo umano ma anche gli oggetti quotidiani creando dei corto circuiti sensoriali.