Dal 7 al 28 Aprile, è visitabile a Los Angeles l’interessante mostra dal titolo Fragments, avente le installazioni degli artisti Maria Rebecca Ballestra, Giulio Lacchini, Irina Novarese, Ryts Monet e Maria Antonietta Scarpari, nati in Italia. Esteticamente, si percepisce la “liquidità” della geopolitica, volta a “macchiare” la frammentazione della geografia. L’ambiguità morfologica può apparire sotto “l’incollaggio” d’uno spartiacque. Più chiaramente, esistono le frammentazioni delle creste e delle coste. Ma la geopolitica comporta “l’incollaggio” delle regioni in un “macchiarsi” degli interessi. Ogni diplomazia va percepita nella “liquidità” delle proprie tesi. Lo “spartiacque” del dialogo fungerebbe da “spruzzo” che “macchi” la frammentarietà delle confutazioni. La geopolitica tiene “incollata” ogni diplomazia, e non sull’urbanizzazione delle creste o delle coste, bensì su quella degli interessi. In via genericamente fenomenologica, un rimbalzo comporta il “macchiarsi” d’una frammentazione. Ogni “freno” della geografia (grazie allo spartiacque) ci pare “catapultato” ad “incollare” un interesse, con la geopolitica. Si può citare ad esempio il concetto di stato cuscinetto. Qualcosa che spesso assume un “rilievo” diplomatico. Nella mostra di Los Angeles, curata da Camilla Boemio presso il Durden and Ray, la percezione della frammentazione ha una “liquidità” per la maggiore incollata dalla “macchia” del decorativismo. La geopolitica deve sempre giustificare i “rimbalzi” degli interessi sulla geografia. Le installazioni in mostra non sono assolutamente kitsch, e sanno frammentare “l’incollaggio” della banconota, dell’arabesco o della mappa catastale, astrattamente verso il simbolismo. Lo sdoppiarsi della bestia felina conferma la percezione dello spartiacque “al rimbalzo” tutt’altro che diplomatico dei propri “interessi”. Più in generale, gli artisti contesterebbero la geopolitica d’incollarsi ai “freni” della geografia. La prima avrà “macchiato” la confutazione della diplomazia. C’è modo e modo per sentirsi “cittadini d’un unico mondo”, secondo la geografia... Forse, per un certo Paese il “sedersi” sul “tappetino” dei propri “allori” (avendo i giacimenti minerari) finisce solo a mistificare la diplomazia. Coerentemente, gli artisti avrebbero esposto una “mappatura” che disperda “l’incollarsi” alla labile “trivellazione” d’un “cuscinetto”. La geopolitica purtroppo favorisce un “dialogo” diplomatico che si limita a “scontentare” un po’ tutti. E’ il “rimbalzo” d’una macchia, che riequilibra una frammentarietà, in cui le coste o le creste “trivellano” i “cuscinetti” d’un continentalismo. Quanto la banconota od il lingotto d’oro “mapperanno” il nostro mondo, e nello “spartiacque” d’una contrattazione? In chiave generica, la geopolitica deve “scontentare” un po’ tutte le creste o le coste della geografia. Quelle si faranno “trivellare” verso la “macchia” d’un interesse pseudo-diplomatico.
A Los Angeles, Irina Novarese esibisce l’installazione denominata A.Utopia. In questa, la mappatura della città sembra “trivellata” al microscopio, e grazie alle “fibre” d’un “cuscinetto”. Genericamente l’arte digitale è un “incollaggio di rimbalzo”, dalla realtà alla visionarietà. La seconda “macchierebbe” gli “spunti” della prima. Qualcosa che Irina Novarese confermerà, adattando il bianconero dei lotti al microscopio “fibroso” delle strade. Ci divertiremo a riconoscere una piantina non solo urbanistica, anzi persino pseudo-vegetale. Un’utopia sempre “si tiene incollata” al… “rimbalzo” dell’ordinario. Ma le gemme dell’artista sono a macchia nera. Lei cercherà “lo spartiacque” d’un nucleo. La “fibrosità” urbanistica si percepirà come repellente. Il nucleo fungerebbe da “cuscinetto”, ma paradossalmente “sbilanciando” le “creste” del mantello o della crosta? Col nero, la visionarietà dell’artista “rimbalza” verso lo sprofondamento. In maniera psicanalitica, il continentalismo riguarderà gli impulsi primari dell’uomo. In città, le caratteristiche luci dell’insegna “trivellano” con l’intermittenza. E’ l’illusione di “smacchiare” le pulsioni primarie nell’uomo. Irina Novarese invece raffigurerà “il collare” del nero, al microscopio d’un nucleo che “mappa” solo il… “disordine”. Qualcosa in cui “poggi” un’urbanizzazione di spartiacque, senza mantello o crosta. Forse, gli impulsi primari “trivellano” la mente razionalistica dal “cuscinetto” del repellente. Un microscopio ovviamente “tiene” la realtà sempre più incollata a se stessa. Ma quello usato da Irina Novarese “trivella” il repellente, sul “continentalismo” fra la mente e gli istinti primari. Così, le coste o le creste della geografia divengono le mantelline o le croste per una geopsicologia. Citiamo una fotografia dell’artista, presa dal Progetto “Landology”. In quella, gli scorci sulla geopolitica metaforicamente appartengono alle tante finestre d’un grattacielo. Qualcosa che la prospettiva apre al virtuale rimbalzo d’una “fisarmonica”. Soprattutto, la mappatura dalle “coste” dei piani alle “ance” dei vetri otterrà la sinestesia dell’optical art, verso la geopsicologia.
Il filosofo Mario Perniola ha studiato la concezione romantica del frammento. Tendenzialmente, vale l’abitudine d’assegnargli una certa “dignità”. Se recuperiamo un frammento, noi lo conserviamo con cura, percependovi l’interezza virtuale dell’ente al suo riferimento. Qualcosa dove si configuri comunque la qualità dell’unità. Per Mario Perniola, un frammento avrà paradossalmente una sua “vitalità”. Esso è contro il più semplice pezzo (che ci pare francamente “smorto”). I romantici citano l’immagine dell’istrice, che avendo gli aculei potrà “separarsi” dal mondo. Il frammento funziona ugualmente, dandosi come tale perché lo “rivitalizziamo”. Ma per i romantici, rispetto alla banalità del mondo, non s’avrà il bisogno di fare altrettanto. Loro quasi idealizzerebbero il frammentario. Dapprima, c’è la tendenza a giustificare il soggettivismo. Tramite questo, l’uomo si separa come un frammento dai legami con la propria esteriorità.
A Los Angeles, Giulio Lacchini esibisce il disegno dal titolo Ruvido concettuale. Tendenzialmente, a nessuno interessa “dare un merito” al foglio ancora vergine… L’artista addirittura ha mantenuto la copertina dell’album. Lì è disegnata la morfologia d’uno scarabocchio, che “incollerà” una dentatura di liuti in miniatura. In questo modo, quanto si percepirà che gli “aculei” del tratto rivitalizzino il pezzo “smorto” sul legno? Uno scarabocchio preso in se stesso prova almeno ad “incollare” il frammentario, tramite il “soggettivismo” dell’autore. Un vero liuto ha la legnosità, cui assegneremo una “dignità” solo al momento del suono: con tutto il suo “romanticismo”! Giulio Lacchini esibisce anche il tratto che “si macchia” la dentatura. Più in generale, potremmo percepire che il concettualismo sia sempre “ruvido”. Fra le diverse parole d’una frase, bisognerà “scavarne” la grammatologia (ricordando una famosa geo-grafia di Jacques Derrida). Giulio Lacchini espone anche una “macchia” della risonanza. Il suo liuto realmente di legno perderà le corde, in favore (grazie alla prospettiva) d’un metronomo solo… “murato”. E’ lo “scarabocchio” d’un rimbalzo, fra il pavimento e la parete. Tutto il virtuosismo degli “aculei” per il suono ci pare incollato sulla ruvidezza dell’accatastato.
Maria Antonietta Scarpari espone il disegno a tecnica mista dal titolo Fame d’amore. Esteticamente c’è molto onirismo. La bestia felina parrà “frammentaria” per il graffiare, ma anche “incollante” per l’afferrare (più dalla bocca che dalle zampe). Complice il tratto figurativo, ricorderemo l’angoscia nel dipinto Guernica, di Pablo Picasso? La bestia felina ha la “smorta ruvidezza” delle lische, quasi a “rattoppare” una “cascata” di fiori, attorno al corpo. Qualcosa in cui torni la dialettica fra il graffiare e l’afferrare. Ma la romanticheria del “fiorellino” o la sensualità graziosa del gatto paiono parecchio inquietanti, qui, per l’universo femminile… Un “drappo” rosso sarebbe stato aperto per “eccitare” al massimo l’istinto alla predazione. In effetti, la bestia felina compie un balzo. In questo non c’è nulla di “diplomatico” (sperando di poter “rattoppare” pure l’imperialismo!). Maria Antonietta Scarpari lascia una macchia nera di “degustazione”, sotto la fierezza della voracità. E’ evidente che il bisogno d’amore ci rende straordinariamente “frammentati”, sino a richiedere “l’incollaggio” del sadismo o del feticismo, in alcuni casi. Qualcosa da percepire entro una “smorta ruvidezza” della corporeità. In chiave geopolitica, un “catasto” delle banconote permette all’artista d’accusare il servilismo, sullo “spartiacque” del < Siccome tutti corrompono, allora corrompo anch’io! >. Sono le due installazioni dal titolo Tappeto volante e Honey Money Italy. Per quanti secoli ancora il denaro dovrà “incollarci” al vivere in società? Naturalmente l’economia è labile, dalle proprie congiunture. Negli ultimi anni, l’Italia ha sofferto per numerosi terremoti. Sotto il collage delle banconote, essa ci parrà tutt’altro che unitaria. La corruzione impedisce una rapida ricostruzione dei borghi crollati. Il Tappeto volante, dal canto suo, funge da metafora per l’impulso a “sognare” di sedersi sulla ricchezza appena inutile.
L’artista Ryts Monet esibisce un’installazione più esistenzialistica. Alla lucentezza del metallo, era stata aggiunta una decorazione ad arabesco, mediante lo spray. Esteticamente, conta una geologia dell’umanismo. L’installazione dal titolo Carpet è di fatto la rivalutazione d’una coperta termica, che i soccorritori adoperano durante le emergenze. Ma queste non s’augureranno a nessuno… L’artista ha scelto la decorazione dell’arabesco, cosicché noi percepiamo un orientalismo sulla preghiera. C’è sempre un’imprevedibilità della natura: per i terremoti, il vulcanesimo, gli uragani, gli smottamenti ecc… Ma pare la percezione d’una “mantellina”, spesso sotto le “volute” dell’intemperia climatica. Il geologo avrà un interesse abbastanza disinteressato, anzi da “stimare” per il suo ambientalismo? Il tappeto classicamente volante sarà troppo “sulle bizze” dell’individualismo? Ryts Monet al contrario parte dall’arte povera. Qualcosa che dimostra il minimo comun denominatore della geologia, per la società umana, e senza i “ricami” della geopolitica, in cui pure la “saggia” diplomazia può incartarsi, a volte. La lucentezza dell’installazione rimarrà “labile”, fra gli arabeschi d’una mera coroncina per pregare. I soccorritori si doteranno d’una “mantellina terrestre”, positivamente ricostituente per un paziente, “frammentato” dal dolore.
A Los Angeles, Maria Rebecca Ballestra espone l’installazione dal titolo Global game, d’arte digitale. I vari simboli complessivamente si percepiscono in maniera inquietante, e secondo la geopolitica. I toni decorativi “dell’evidenziatore” s’accompagnano alla stilizzazione quasi banalizzata del tratto. E’ una scelta cara ai segnali di pericolo... Simbolicamente, quanto l’umanità subirebbe il “gioco” dei potenti? Pare un quadrato in cui scomporre le tessere, ma senza mai giungere alla “formula” che lo pacifichi. L’installazione si percepisce in via sia frammentaria sia incollante. I toni “da evidenziatori” immediatamente “mappano” aggiungendovi un’autogiustificazione. Qualcosa che piace alla classica geopolitica. La stilizzazione iconografica ci rimanda invece ai “giochini” sullo smartphone. Questo si farà “macchiare” dall’artista, almeno concettualmente. Il giocare dentro la “stanza dei bottoni” è fin troppo pericoloso.
Recensione estetica per la mostra Fragments, con gli artisti Maria Rebecca Ballestra, Giulio Lacchini, Irina Novarese, Ryts Monet e Maria Antonietta Scarpari (allestita a Los Angeles dal 7 al 28 Aprile, presso il Durden and Ray).