Leonardo da Vinci (1452-1519) fu uno dei massimi rappresentanti dell’Umanesimo quattrocentesco.
Questo Umanesimo era stato avviato dalla Scuola Siciliana di Federico II, da Dante, da Petrarca, da Giotto, da Antonello da Messina, da Pico della Mirandola, da Marsilio Ficino, fra i molti altri. Base di partenza per una straordinaria avventura speculativa fu l’abbandono consapevole fra le braccia spirituali della religione, in certo qual modo tradita da una Chiesa divenuta potere secolare. Gli umanisti come Pico (autore di un libro di grande presa emotiva e intellettuale, Della dignità dell’uomo) erano a favore della spiritualità al punto di razionalizzarla. L’umanista non intendeva affatto sostituirsi al teologo ma riteneva di potersi mettere al suo fianco nella valorizzazione e nella contemplazione del mondo superiore. Tale concetto di superiorità globale in qualche modo apprezzabile, e condivisibile, deriva dalla disciplina neoplatonica che predica il tutto diffusione dell’Uno (panteismo), mescolata con l’ermetismo di Ermete Trismegisto (Codex Hermeticum, tradotto in latino a metà Quattrocento circa da Marsilio Ficino e in volgare dal suo allievo Tommaso Benci) che predica, invece, il tutto riconducibile all’Uno - ovvero, ogni cosa ha in sé un codice “divino”, panenteismo). Ermete è una figura mitica, modellata su quella del dio egizio Thot (presunto inventore della scrittura).
Gli antichi greci ne fecero una sorta di demiurgo in grado di “comunicare” con il sapere che sottende alla creazione e alla gestione del mondo. Codici di lettura della realtà, riti propiziatori, profondità di pensiero, estasi mistiche porterebbero assai vicini alla verità assoluta.
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Tutto ciò, unitamente alla rivelazione cristiana (sopita nella Chiesa del tempo) spiega l’atteggiamento umanista di profondo e attivo asservimento allo spirito, concepito come perfetto motore delle cose. Nei dipinti di Leonardo, questi rilievi si riverberano in modo del tutto esemplare: vuoi come conquista di un “logos” complesso fatto più di sostantivi che di aggettivi, vuoi come scoperta di una capacità deduttiva e induttiva di grande effetto comunicativo.
Leonardo novello Aristotele? L’impegno profuso dal genio toscano nella ricerca etica (ed estetica quale conseguenza) e in quella scientifica fanno pensare a un suo scrupolo intellettuale nello stabilire un punto di partenza fatto di una precisa memoria del passato e di un’attenzione particolare al presente, così ricco di suggestioni create dalla personalità umana.
È una figura a metà fra caratteristiche laiche e mistica religiosa, rivisitata con la incomparabile intelligenza dello spirito intelligente al quale viene riconosciuta una propria razionalità, ben diversa da quella materiale, più aperta, ovvero meno costretta da formule prefissate proprie di una mentalità strettamente utilitaristica. Se ci rifacciamo ai testi umanistici appena prima Leonardo, ci renderemo conto della ricchezza concettuale che vi è contenuta e della fatica con cui trovano uno sfogo ordinato, tesi come sono a voler dire tutto nel timore di non riuscirci per la difficoltà a contenere i vari suggerimenti interiori. Con Leonardo, essi trovano una sorta di pacifica sistemazione, un’armonia.
Della pittura leonardesca, a parte i riconoscimenti stilistici che, esaltati, hanno fatto di Leonardo un totem intoccabile specie presso gli ambienti conservatori, va sicuramente detto che non si tratta di virtuosismo: la sua staticità è solo apparente, acceca. La simbologia che vi è contenuta sfugge,
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in buona parte, alla sensibilità moderna, ma non può sfuggire un meccanismo interiore che di fatto muove le figure e le cose creando un ambiente ideale, nel quale si svolge la contemplazione di un evento: Leonardo non lo descrive, lo celebra con discrezione e con intensità insolita, vera, palpitante, senza mai essere svenevole o retorico. D’altro canto, va ricordato che quando il Movimento Dada (Duchamp) farà i baffi alla Gioconda, avrà come riferimento le parodie leonardesche (ad esempio il Neoclassicismo e l’Accademismo francese che ne seguì) non la pittura umanistica e rinascimentale. A differenza del classicismo per eccellenza, quello greco che recita la potenza in atto, quello di Leonardo è arricchito da un elemento di guida verso un traguardo preciso. Il discobolo di Mirone scaglia le sue idee verso un mondo ideale immaginato, Leonardo afferma i suoi pensieri in un mondo ideale sentito, vicino.
Si può supporre che la vicenda umana leonardesca abbia avuto una sicura influenza sulle decisioni artistiche del Nostro. Lui, figlio naturale di una relazione illegittima fra un notaio e una donna dalle origini modeste, avrebbe agito per dimostrare la bontà, comunque, della sua persona. È sicuramente una forzatura. Troppo grande è la sua bravura, prescinde da ogni condizione sociale. Viene da dentro e dentro rimane, in un sontuoso gioco di specchi, fra involuzione del evoluzione speculativa: una spirale che sale e scende entro un ambito di scrupolo espressivo enorme. La bravura di Leonardo è una questione di sensibilità che Neoplatonismo ed ermetismo provvidero continuamente a tenere accesa. Più logica la supposizione per cui la sua posizione di figlio illegittimo favorì il suo allontanamento dal Circolo di Lorenzo il Magnifico: la barbara Milano (a confronto della raffinata Firenze) accolse un Leonardo ingegnere (delle acque, al posto del vecchio Bartolomeo Gadio) per ritrovarselo anche artista capace di rivoluzionare totalmente la visione delle cose in Lombardia. E di laurearlo artista a tutto tondo a Roma, sebbene non vi fosse visto benissimo. Sarà per un anno al servizio di Cesare Borgia, per cui inventerà delle bombarde, quindi, di veramente rilevante, accetterà la corte di
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Francesco I, il maggior nemico di Carlo V d’Asburgo e andrà in Francia per tre anni, morendovi probabilmente nella magione di Cloux (oggi Clos-Lucè), messa a sua disposizione, si dice fra le braccia del re stesso (ipotesi estremamente dubbia), Fu sepolto, per sua volontà, nella vicina chiesa di Saint Florentin. La chiesa più volte violata, nel 1863 fu oggetto di accurate ricerche e fu trovato uno scheletro, sistemato nella chiesa del castello di Amboise. L’esame del DNA, grazie all’individuazione di discendenti, nonché di eventuali resti riconducibili a lui, ci dirà se effettivamente si tratta di Leonardo.
La fama di Leonardo è ovviamente legata anche alla sua abilità ingegneristica, alla sua capacità di progettare macchine futuristiche, sulla cui reale funzionalità gli esperti nutrono dubbi. Tuttavia, a ben vedere, non importa il risultato effettivo delle sue invenzioni, quanto il fatto di averle pensate, corroborando così lo slancio umano verso la continua ricerca e la continua valorizzazione dell’operare dell’uomo. Non per una sfida al “sapere divino”, bensì per avvicinarsi al sapere superiore, del quale Leonardo aveva il massimo rispetto. Tale rispetto lo pone a ridosso delle speculazioni greche, lo avvicina a Platone, ad Aristotele, ma, come si diceva, con una convinzione maggiore di essere nel giusto, confermata da una visione della spiritualità ad occhi aperti. (Dario Lodi)
Le figure, nell’ordine: Presunto autoritratto di Leonardo, 1515; Gesù bambino nella “Vergine delle rocce”, prima versione, 1483; “Ultima cena”, 1494-98; “Gioconda”, 1503-14; “S. Anna, la Vergine, il Bambino e l’agnellino, 1513; Tre tavole del Codice Atlantico. A proposito dell’Ultima cena, uno dei massimi esperti italiani di Leonardo, Roberto Giavarini, afferma che ben poco è rimasto dell’originale.