A Roma, a partire da 28 Settembre e presso il Museo Orto Botanico, si possono vedere in mostra le ultime installazioni dell’artista Lapo Simeoni. Più precisamente, quelle rientrano nel programma Climate justice for a living ocean, volto a sensibilizzarci (tramite una piattaforma digitale) sul come difendere l’ambiente. A Roma, la mostra di Lapo Simeoni è stata curata da Camilla Boemio. Invece, TBA21 – Academy ha provveduto a lanciare la piattaforma digitale Ocean archive. Esteticamente, a Lapo Simeoni interessa esplorare la sedimentazione ed il legame, così da “donare” una “fluidità” al mappabile. L’ambiente da un lato si radica sulla conservazione (per le leggi naturali), dall’altro lato si sfrutta sul progresso (per le invenzioni umane). E’ una dialettica cui non possiamo rinunciare. Il legame con le leggi naturali si può al massimo correggere. In via strettamente fenomenologica, un ambientarsi presuppone la “sedimentazione” del circoscrivibile. Il cartografo procede a “tentativi di meri schizzi” sulla terra in radicamento. La sedimentazione dal canto suo non è ancora sfruttabile, e necessita d’una cura. Coerentemente, varrà la fenomenologia d’un ambiente “fluido” al “dono” dell’esplorazione. Possiamo immaginare che esista il principio dei “vasi comunicanti”, fra il legame con la terra e la sedimentazione del vissuto. Ovvio ciascuno di noi ha “linee sghembe” di decisioni, secondo la positività o la negatività. Noi circoscriviamo “per correzioni” gli “schizzi” d’un momento caratteriale. Ma perdura il “vaso comunicante” tramite cui la natura curata o bistrattata “ci torna indietro” tale e quale. Vivendo, sempre “mappiamo” la fluidità d’un ambiente che “si dona”, con la sua equità. Le leggi naturali sono massimamente comunitarie. Trascritte in cartografia, quelle poi ci rinviano alla sedimentazione dei vari popoli, i quali interagiscono per interculturalità. A Roma, le installazioni di Lapo Simeoni sono esposte sotto il titolo d’un Laboratorio oceanico.
La Serra tropicale ospita l’Ophelia project, col quadro avente una “spazzola di lamiera”, vivamente rosa. Pare la linea sghemba dei vasi comunicanti, che forse “mapperebbero” un “faticoso risveglio” dalla morte. Il rosa è il colore giusto per la femminilità solo acerba. Ma quanto la coscienza civica dell’età contemporanea chiede il “risveglio” da uno sfruttamento irrazionale del pianeta? Ofelia è un personaggio che Shakespeare “lascia” impazzire, nonostante il contornarsi dei fiori. Insomma, l’immaturità può anche derivare dall’incuranza… Modernamente è facile convincersi che mediante la tecnologia si faccia tutto, anche a prescindere da come risponderà la natura. Per Shakespeare, la pazza Ofelia muore per annegamento. Ivi Lapo Simeoni appende il suo quadro sopra una vasca con le ninfee. Nell’irrazionalismo del predominio umano sulla natura, qualche attivista (P.S. si pensi a Greta Thunberg) prova a “scuoterci”. Il quadro di Lapo Simeoni è percepibile persino in un Bucket challenge, grazie alle linee sghembe, e da un rosa “sognante” per infiorescenza.
La cementificazione incontrollata “ghiaccia” la natura. Per Matthew Arnold, un “Mare” della Fede un tempo avrebbe bagnato l’intera Terra, e con le onde stese “a mo’ di cintura”, lucidamente ad arrotolare le coste (per il simbolismo d’un corpo avvolto dalla spiritualizzazione). Egli scrive innanzi alle bianche scogliere di Dover, che permettono all’isola britannica un “allacciamento virtuale” col continente europeo. Però, oggi il “Mare” della Fede avrebbe malinconicamente ritirato il “ruggito” delle proprie onde, lasciandovi il venticello notturno a “respirare”.
La Serra Corsini ospita il progetto Human history + Water cycle + Climate change. L’artista installa le immagini prese dai vecchi atlanti, che oggigiorno nessuno consulterebbe. La Serra Corsini venne realizzata nel 1800, e contiene le piante grasse. Esteticamente torna la percezione della cartografia che si sedimenta al legame col progresso. Gli atlanti contengono immagini utili a ricostruire ogni incontro / scontro fra le civiltà diverse. Le piante grasse sono sempre “succulenti” da percepire. Si conoscono i motivi solo economici malcelati dal colonialismo di “progresso”, purtroppo anche con le violenze sugli indigeni. La serra ha le mura in bianco scrostato, ed ovviamente “strozza” qualsiasi “fragore di respirazione” con le intemperie. Ma quanto sarà positiva la volontà di preservare la vita alle piante grasse? Lapo Simeoni installa gli atlanti fondamentalmente perché quelli ci esibiscono l’acqua. E’ un elemento vitale, che persino “lanciò” il problema dell’interculturalità, all’epopea dei navigatori. Se una volta in Occidente si faceva a gara per la cineserie, oggi le migrazioni avvengono nel disinteresse e nell’indifferenza dei potenti. E’ un problema che nasce pure per l’impoverimento delle terre, a valle dei cambiamenti climatici. Le piante grasse hanno una forma a “fuso”, quasi a riavvolgere gli atlanti esposti. Di nuovo si percepisce una dialettica, e simbolicamente da incontro / scontro di civiltà, se vale la “sedimentazione” delle spine. Augurandosi il meglio, il fuso apparirà a qualcuno quantomeno più “abbracciante”, rispetto al vaso comunicante?
Lapo Simeoni ama lavorare sulla fenomenologia dello scarto. Questo gli è servito pure per la terza installazione a Roma, da lui chiamata Tevere River findings. L’artista parte da una performance, per sensibilizzare soprattutto gli studenti. Egli aveva raccolto oggetti di rifiuto e scarto, lungo il Fiume Tevere, con l’idea finale di metterli in esposizione. Nella Sala bonsai del Museo Orto Botanico, così il principio dei vasi comunicanti sembra letteralmente “ingrassato” dai sacchi neri. Se la natura ci torna sempre indietro, nel bene o nel male, per l’immondizia nessuno spera che accada lo stesso! Il fiume ha l’acqua destinata a sfociare nel mare, la cui vastità illude sul nascondere utilmente una “pattumiera”. E’ il non mappabile, quantomeno nelle profondità abissali. L’Oceano Pacifico da anni conserva una discarica di sottilissima plastica, pericolosa per la fauna ittica. Quella è anzi invisibile, ergo nera come l’abisso. Negativamente, avviene che l’oceano oggi “ci restituisca un conto” errato per esorbitanza, rispetto all’esplorazione dei primi navigatori. E’ una sedimentazione all’invisibile, che insinua il rischio d’uno sconvolgimento ecologico. Lapo Simeoni virtualmente prova a riciclare gli scarti del Fiume Tevere, donando loro la “cartografia” d’un ordinamento estetico. Nello stesso tempo, gli ambientalisti prevedono il peggio, per il nostro futuro.
Recensione estetica per la mostra Laboratorio oceanico, avente le installazioni dell’artista Lapo Simeoni,
e presso il Museo Orto Botanico di Roma, a partire dal 28 Settembre