A Peccioli (PI), presso il Palazzo Senza Tempo, è stata ospitata la mostra d’arte contemporanea dal titolo I colori del silenzio, coi quadri ad olio su tela di Alessandro Ciulli. In via figurativa, pare che gli orizzonti del paesaggio permettano di sognare i “veli” della pittura metafisica (da Giorgio De Chirico). L’ignoto, che non si può conoscere concettualmente, ci attrae “ammantando” dal suo silenzio. Forse, la nostra reattività rimarrà impulsiva. Ad esempio, il colore si percepirà “all’eco” della campitura, e rispetto al punto di fuga appena silenziato. In via estetica, il neo-primitivismo è la “culla proteggente” per l’astrattismo, potendo “ammortizzare” ogni inquadramento della metafisica (che inquieta, per la sua inconoscibilità, grazie allo “scarto” dell’ombra, in Giorgio De Chirico). Alessandro Ciulli preferisce la “serenità” della rigogliosità. Le tonalità sono tenui, anche quando raffigurano la “nebulosa” (che appartiene all’onirismo). Il velo della metafisica si farà silenziare al “rallentatore” d’una crescita. A parità vitalistica, i colli all’orizzonte ammanterebbero l’esplosione “istintiva” delle chiome, il cui “ingombro” richiederà il primo piano. Tuttavia, dialetticamente la maturità cederebbe al “groviglio” delle responsabilità, per l’esistenzialismo. Il crinale della montagna può “sfilacciare” la roccia, verso la corda, mentre il fiore ha la campanula per una ventosa dei colli (a parità prospettica di dimensioni). Nel mezzo, la coccarda da “picchettare” perderà l’orientamento (chissà se sociopolitico) al bersaglio della Terra, la quale ovviamente è sospesa, nel vuoto dell’Universo. All’antropomorfismo il tronco dell’albero “seccherà” la trachea, ed il crinale del monte “imbalsamerà” la muscolatura. Quindi, per “l’escursionismo” della propria vita, la forza di gravità o realisticamente affaticherà (richiedendo il supporto altrui), od astrattamente confonderà (alla lontananza della meta, complice l’artificio del trompe-l’oeil). La solitudine dà spesso ansia. Quella arriverà a farci percepire l’eco come un ostacolo, laddove non si riesca a calamitare un pertugio. Ad esempio capita di perdere il sentiero giusto. Pare che Alessandro Ciulli cerchi la “scatola cinese” d’un paesaggio… nel paesaggio. Questo s’allinea agli “sprazzi” di senso, durante l’ipnosi. Positivamente l’artista eviterà di cedere alla “culla”, come per il fiore appassito? All’ipnosi sarebbe demandato il compito di guidarci, dal proprio “volante”, verso un Panorama Senza Tempo (se distorcessimo la denominazione del palazzo espositivo, a Peccioli). La dialettica in merito al “velo” della pittura metafisica si farà rappresentare dal prisma, rispetto alla muratura. La dura roccia sarà più malleabile, se all’onirismo d’un pomolo. Nei quadri di Alessandro Ciulli, l’eternità del tempo comporta un “eden” per la pittura metafisica, col prisma a scomporre la luce bianca verso la rigogliosità dei colori. Ma la porta per entrarci sembra nascosta.
Per Charles Baudelaire, liricamente le nuvole rievocano le fornaci spalancate, aggrovigliando l’acqua. C’entra ovviamente la luce del sole, la quale si sarebbe trasfigurata nel “grigiore” d’un duro metallo, ma non lesinando di fondersi per l’impressionismo d’un raso. Le nuvole favorirebbero lo spleen. Si bagnano le “cellule grigie” del cervello… Serve una decantazione lirica, per l’ebbrezza d’un riposo.
Alessandro Ciulli ricorre al tratto distorsivo, fra le chiome degli alberi ed i pendii dei monti. Vi si potrà percepire una “matassa cerebrale”. Questa avrà incendiato od incenerito (fra i toni caldi e freddi) la tela. Citando Hayao Miyazaki, immaginiamo che un “castello” di idee si renda errante, mediante il “ventaglio” dei simbolismi. Data la fissità delle rocce, in una montagna, all’orizzonte del loro senso dovrebbe valere un passaggio “liberante” dalla grotta all’arco. L’astrazione sarà rappresentabile dal vento. Questo aiuta la propagazione dell’incendio, nel “motore a scoppio” dell’ispirazione estetica (tramite cui le semplici idee “s’ingarbugliano”, verso i simbolismi). Nei quadri spesso sono raffigurati gli archi, al trompe-l’oeil delle chiome, funzionale ad una rigogliosità delle rocce. L’astrazione (da Vasilij Kandinskij) diventa errante anche alla temporalità. Ad esempio quella brucia il proprio silenzio, grazie ad un triangolo musicalmente di rocce “marziane” (complice la tonalità calda), che potranno influenzarci. Forse il cilindro ispessito d’una manica a vento donerà un teleobiettivo al pomolo… Dalla “caccia la tesoro”, si dovrà recuperare una chiave, per varcare la soglia d’un viaggio nel tempo. Infatti si vedono gli avvitamenti distorti delle chiome. Ma i quadri rimangono esteticamente ambivalenti, dai colori riposanti al “raso” della rigogliosità. Chissà se alla fine, in uno spleen del neo-primitivismo, si dovrà razionalizzare la fenomenologia per cui il sogno non è mai reale!