Niente educa all'altro quanto il linguaggio dell'arte!
I linguaggi dell'arte maggiore (pittura e scultura), con gesti, segni e simboli ci orientano verso traiettorie di significato nascoste o ambigue, non istantaneamente accessibili come un selfie su instagram.
La riflessione linguistica comune è qualcosa di direttamente derivante dall'osservazione dell'umano, con un tempo di riflessione che ne abbraccia tutta la sua storia sul pianeta, è quindi uno strumento di raccordo e dialogo non solo con l'altro, ma anche con l'altrove.
Osservare e comprendere il linguaggio artistico tradotto in visione, richiede meditazione prima d'esprimersi nel merito dei contenuti con la propria espressione sul tema.
Niente educa alla conoscenza di noi, quanto il linguaggio dell'arte, è il nostro strumento di conoscenza del sé osservando l'altro e l'altro che s'osserva è solo linguaggio, quando guardo un lavoro di un artista l'artista non è presente e se c'è non dovrebbe esserci (io faccio di tutto, pur vivendo d'arte, per non entrare mai materialmente in contatto con chi osserva il mio linguaggio o mi chiede di confrontarmi con il suo).
L'artista non dovrebbe mai essere sincronicamente presente quando al posto suo c'è il suo linguaggio artistico visivo (anche se mi piace di più etichettarlo maggiore, perché pittura e scultura sono stati nella nostra storia evolutiva, i generatori di tutte le lingue e tutti i linguaggi).
L'osservatore deve vivere il linguaggio dell'arte, deve sentirlo per poterne divulgare i contenuti, derivanti dalla sua espressione interpretativa, in autonomia. All'artista dovrebbe essere interdetta per decreto legge, la contaminazione con la sua presenza, alla libera interpretazione del suo linguaggio, altrimenti come potrà mai un osservatore, liberamente calarsi nella complessità dei suo segni e simboli?
La meditazione e la contemplazione, nel nostro ricco Occidente, esistono e resistono soltanto attraverso i linguaggi delle arti maggiori, da sempre l'unico strumento collettivo e connettivo che consente d'ascoltarsi individualmente, senza questa autoeducazione e autodisciplina, come si potrà criticare il dogma dello scienziato o del tecnico?
Capite perché il linguaggio dell'arte è sempre contemporaneo?
Per il semplice fatto che l'uomo e l'umanità è sempre contemporanea, le nostre immagini, la nostra immagine è sempre collettiva e connettiva, la nostra concettualizzazione delle immagini mentali perché dovrebbe essere diversa rispetto decine di migliaia d'anni fa? L'archeologo in cosa sarebbe diverso da un osservatore d'arte contemporanea?
La mia percezione umana e individuale, in cosa sarebbe diversa rispetto a chi senza pregiudizi si connette liberamente con lei?
Ditemi la verità, se ci dobbiamo relazionare, con le elucubrazioni e opinioni, come è più semplice farlo?
Relazionandoci attraverso un universo linguistico e simbolico comune, o attraverso un algoritmo politico come Luigi Di Maio e la sua personale comunicazione di propaganda politica che ne legittima il potere?