LOBODILATTICE

IL RICORDO ROMANTICO DELL'IDENTITA' CULTURALE, A FRONTE DELLE CICATRICI DA "SCONTARE" IN VIA INTERGENERAZIONALE

A Venezia, presso lo Spazio “Berlendis”, dal 20 Aprile al 24 Novembre si può visitare una mostra d’arte contemporanea, dal titolo Grand Hotel, ed avente gli allestimenti di Ydessa Hendeles. Esteticamente, a lei interessa il ricordo romantico dell’identità culturale, a fronte delle cicatrici da “scontare” in via intergenerazionale. La mostra, curata da Wayne Baerwaldt, ha un allestimento fra le atmosfere care a Shakespeare, da Il mercante di Venezia. E’ infatti essenziale la biografia di Ydessa Hendeles, nata a Marburgo, in Germania, da genitori polacchi d’etnia ebrea, i quali sopravvissero al lager nazista di Auschwitz. Conclusasi la Seconda Guerra Mondiale, l’intera famiglia decise di trasferirsi a Toronto, in Canada. Ydessa Hendeles un po’ alla volta è diventata sia storica dell’arte, sia collezionista filantropa (resistendo ai “lacci” del mercato, da gallerista). Sappiamo che Venezia nel Cinquecento organizzò il primo ghetto nella storia, per gli ebrei. Il loro lavoro era fondamentale per lo sviluppo economico (sino ad ispirare, a distanza di pochi decenni, Shakespeare).

Il Grand Hotel (presente anche al Lido di Venezia) rappresenta simbolicamente il paradosso d’una frenesia per il rilassamento. Non si tratta della casa, tramite cui si vive continuamente. Però, si sogna spesso di ricevere i servigi altrui. Il Grand Hotel trasporterebbe magicamente la galleria d’arte al livello più vitalistico. La pelle umana appaga il suo desiderio laddove mostra… di mettersi in (bella) mostra. Bisogna sedurre, contro la transitorietà. Il Grand Hotel, radicalmente opposto al lager dei nazisti (passando dalla prigionia al comando, con questo che conviene persino al commerciante), porta la romanticheria a maturare, con l’affettività. Quando ci troviamo persi nell’arbitrio fra gli arrivi e le partenze, di molti sconosciuti, noi spediamo la cartolina turistica ad un familiare, da “nostalgici” per l’orientamento che solo una casa può offrire. Se il lager nazista uccide, allora si rischia che il Grand Hotel paradossalmente ami… troppo? L’esule od il migrante potrebbero subire il fascino del consumismo, approdando (non senza patemi) nell’Occidente della liberaldemocrazia “convinta”. E’ veramente arduo dimenticare le proprie origini. Addirittura il Grand Hotel rischia di diventare museale. Gli esuli ed i migranti saranno etichettati dai nazionalisti, per un pregiudizio culturale, dopo l’ipocrisia dell’accoglienza iniziale (ad esempio da una convenienza sui lavori “umili”). A volte, le seconde o terze generazioni soffrono la perdita d’una vera identità, per se stessi, dalla “chioccia” della famiglia all’individualità autonoma per contestazione. Per fare la propria vita, non si rinuncerà nemmeno al lungo viaggio. La prima generazione di esuli e migranti è sempre ancorata alla terra natia; quella successiva comincerebbe a raffrontarvi la terra ospitante (senza dare per scontato di preferirla). I pregiudizi culturali non cadono mai facilmente. Così per il perverso nazista l’ebreo avrebbe potuto curare i suoi affari in un Grand Hotel

Ydessa Hendeles è stata considerata una pioniera dei connubi in estetica fra l’arte fatta e la curatela d’arte, a partire dal 1980. Dunque a Venezia si può trovare in esposizione il dipinto di Franz Roubaud dal titolo Village merchants: street of Yarmolyntsi in Podolia (del 1897, ad olio su tela). Il cielo parecchio nuvoloso ed i carri nel fango simboleggiano la dura vita della povera gente. Il villaggio raffigurato appartiene all’odierna Ucraina, ma all’epoca del pittore era stato destinato dall’Impero Russo al “confino” degli ebrei, tramite la transnazionale Zona di residenza. Loro non potevano rivendicare una proprietà privata, cosicché optarono per il lavoro nel commercio, o nell’artigianato. Le persecuzioni dei russi rimasero, aumentando sotto il comando dello zar Alessandro III. Immaginiamo che a Ydessa Hendeles interessino gli animali dipinti da Franz Roubaud, ed in specie le oche ed i maiali. Per questi, l’aia d’un intero villaggio avrebbe offerto l’ospitalità d’un… Grand Hotel, all’antropomorfismo d’una “romanticheria” per l’ecosostenibilità. Vi mancherà la moderna segregazione dall’allevamento intensivo, al di là del paradosso per la tragedia degli ebrei, col nazismo.

Per l’installazione che s’intitola Goose!, Ydessa Hendeles ricorre ad un filmato del 1939. Esso fu realizzato a Mukacevo, nell’odierna Ucraina, dove tanti ebrei abbracciarono lo zionismo, con l’interesse (caricato in chiave utopica) a fondare un potente Stato d’Israele. In realtà, si percepisce la povertà. A Ydessa Hendeles interessa il lento cammino degli uomini, lungo la strada. Chi porta l’oca in braccio, come una valigia, potrà paradossalmente banchettare con la povertà? Ci ricordiamo la mitologia sul vissuto arcaico. L’oca costituiva il cibo prediletto dagli ebrei. A livello più “artigianale”, le sue piume permettono di riscaldarsi. Ma tutto ciò rimarrebbe l’immagine d’un mondo ormai passato, rispetto alla distopia del nazismo (che estremizzava la malvagità anche tramite le marce della morte).

L’installazione che s’intitola Marthe Chenal ladies’ toiletry case risale al 1925. Trattasi d’un hotel in miniatura, “elevando” il camerino privato, grazie ai visitatori d’un museo. Soprattutto in Francia, oltre il retaggio del lusso per la belle epoque, il beauty case da viaggio è ritenuto indispensabile. Ci piace immaginare che il pettine, la spazzola, lo specchietto, il profumo ecc… rimpiazzino l’incasellamento per le chiavi delle stanze, alla reception d’un hotel. A Venezia, è stato allestito un beauty case di marca Louis Vuitton, che appartenne alla cantante soprano Marthe Chenal. Naturalmente lei viaggiava in continuazione, per lavoro. Ciò implicava la sosta in hotel. Addirittura, con lo “specchietto” dell’ugola, Marthe Chenal avrebbe allietato i soldati al fronte, durante la Prima Guerra Mondiale, evitando la loro demoralizzazione.

L’installazione dal titolo Architectural model risale all’Ottocento. Essa fu realizzata in Italia, da un artista che rimane ignoto. Il diorama relativo al Grand Hotel conferma quanto apparisse fantastico un castello vissuto in via popolare, senza alcune esclusività per origine nobiliare. Nell’Ottocento, si svilupparono le ferrovie. Gli ebrei in Germania le finanziavano, provando ad aggirare creativamente le restrizioni sulle residenze, nonostante il bisogno di lavorare. Di conseguenza l’accoglienza era demandata al Grand Hotel. Spesso si trattava di regge nobiliari, da riconvertire inizialmente per il lusso borghese. Modernamente, è dalla fantasia sempre più accessibile che si giustifica il turismo di massa. Ovviamente non tutti possono godersi un simile privilegio. Qualcuno sfugge alle persecuzioni di massa dovendo ripiegare sul campo profughi. Percepiamo il dettaglio del rosone, sulla porta d’ingresso, essenzialmente da un proiettore della luce per la hall. Questo dà una sorta di riavvolgimento ai binari ferroviari. Colui che inizia un lungo viaggio, da esule o migrante, deve focalizzare tutto il “fardello” del suo passato verso un futuro ignoto da “avvinghiare”, non volendo soccombere una seconda volta.

L’installazione dal titolo VW Car ha ormai superato il pionierismo dal diorama. La Germania esce a pezzi dalla Seconda Guerra Mondiale, e deve rilanciarsi economicamente, in fretta, con un sano pragmatismo. Quindi Ydessa Hendeles esibisce il celebre Maggiolino della Volkswagen, da una serie del 1953. Lo stemma riproduce un castello, mentre il portapacchi riempito sul tetto diventerà fantasticamente esotico dalla sua ziqqurat. Il marchio della Volkswagen si traduce in vettura del popolo, e nacque per iniziativa di Adolf Hitler. Durante la Seconda Guerra Mondiale, essa servì ai lavori forzati, rastrellando pure gli ebrei. Lo sviluppo del design si riversò sugli accessori. Così il Maggiolino dell’artista sul tetto regge il baule del marchio Louis Vuitton. L’automobile aggiungerà l’erranza alla fissità del Grand Hotel (coi ganci al posto delle finestre). La roulotte probabilmente si distingue, riportando la “semplicità” della casa privata.

Per Jean Baudrillard, gli U.S.A., non avendo conosciuto la classicità prima della modernità, si percepirebbero tramite una storicità assoluta nella sua primitività. Qualcosa che raccolga subito tutta l’eterogeneità delle culture e dei saperi. Se la modernità in politica tende al liberalismo, questo negli U.S.A. si mischierebbe alla “primitività” dell’antagonismo, dai meri animi. Questi convergerebbero nell’assolutezza d’una storicità letteralmente… “improvvisata”. Per Jean Baudrillard, è qualcosa che si può simboleggiare attraverso il culturismo. Caro a molti americani, esso favorisce una percezione sempre esplosiva del corpo, contro la sua classicità d’una prigione per l’anima (citando i Greci). Pare che il culturismo esteticamente “glorifichi” il liberalismo delle pelli “antagoniste”. Quelle “si strapperanno” dai muscoli.

L’installazione dal titolo Luggage si colloca ad anello schiacciato. Si cita anche il mausoleo, dal Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa, che Peter Eisenman ha progettato per Berlino. Le valigie, le borse ed i bauli sono impilati al loro sfarzo, grazie al ready-made dell’arte, evitando di soffrire mentre l’uomo deve incastrarli: nell’armadio, nel sottotetto o nell’autovettura. Le pelli animali (di bovino, di maiale, di coccodrillo ecc…) si rivitalizzeranno. Negli aeroporti, un anello schiacciato dal nastro trasportatore coi cingoli può agevolare il ritiro della propria valigia. Senza di questa, nessuno uscirà: così rimane comunque una tensione, sebbene si fossero rispettati i limiti per l’ingombro, alla partenza. Modernamente, il design si candida a seguire le novità tecnologiche. L’esempio più risaputo inerisce alla custodia: per il computer, lo smartphone, il tablet. Ci interessano particolarmente tali accessori, i quali grazie alla digitalizzazione permettono di preservare i nostri ricordi (se desideriamo viaggiare per un cambio, completo, di vita). Ma, dall’installazione di Ydessa Hendeles, trapelerebbe una sottile inquietudine? L’allestimento corale ci ricorda l’episodio biblico di Mosè al Passaggio del Mar Rosso, fuggendo dall’Egitto. Per la congiunzione delle valigie, Ydessa Hendeles sceglie il manichino d’un neonato. Il profugo aspira ad un futuro migliore, quantomeno per le generazioni future. Gli ebrei, costretti ad abbandonare la loro casa, esibivano una prima selezione (quasi anticipando la seconda: quella macabra dei nazisti), sugli effetti personali. Però si doleva per la perdita d’una semplice fotografia, in quanto dotata d’un valore affettivo. La famiglia di Ydessa Hendeles scelse d’emigrare in Canada. Forse gli echi della cultura europea saranno più preservati. Classicamente, gli U.S.A. rappresentano il capitalismo d’un “culturismo istintuale” a mezzo ˂ usa e getta ˃, riadattando l’estetica di Jean Baudrillard alle valigie in pelle animale dell’artista. Diversamente, la grazia pervade la cura per la conservazione. L’album fotografico ci farebbe percepire il Grand Hotel tra le “finestre” delle buste trasparenti in plastica.