Alfredo Pini - Altrove
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Alfredo Pini - Altrove
Comunicato
Il candore delle pareti e dei rilievi seicenteschi dell’armoniosa Sala degli Stucchi della villa del doge Morosini, eretta sulla riva veneta del Po con la composta e pulita architettura di Vicenzo Scamozzi, accentua la narrazione racchiusa nei panorami metropolitani, selezionati da Alfredo Pini (1958) per questa esposizione.
Lo sguardo del visitatore, dapprima corre veloce da uno all’altro dei dipinti, come a sequenziare, instancabilmente, una serie di immagini in uno schermo. La prima impressione è quella di fotogrammi dai tempi dilatati di scatto, impostati manualmente sulla macchina fotografica, che “allungano” le sagome degli oggetti animati.
Ma molto presto all’occhio attento non sfugge che ciò che si para dinanzi e la mente corre altrove, non è propriamente una città reale. Nessuna figura umana o zoomorfa si intravede in questo mondo costruito artificialmente dall’uomo per l’uomo, senza concessione alcuna alla natura che non sia quella di qualche raro albero.
A dominare la scena sono sole le macchine, che lasciano intuire la presenza umana che pure non traspare. Con fluida pennellata Pini dà corpo a squarci urbani letti con distacco, attraverso la lente del tempo. Le macchine girano come una miriade di piccoli ingranaggi di un superiore sistema, che tutto uniforma e imbriglia. La visione complessiva non è mai volutamente nitida, come se fosse immersa in un fluido. L’indefinito dei margini della quinta urbana si rafforza nelle sgrondature libere di colore, come in quelle pennellate che appaiono come abrasioni, raschiature del film pittorico.
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