Giacomo Balla. Dal primo autoritratto alle ultime rose
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Giacomo Balla. Dal primo autoritratto alle ultime rose
Comunicato
È Giacomo Balla, punto cardinale dell’arte del ‘900, il protagonista della mostra visibile da giovedì 15 aprile presso la Galleria Russo di Roma.
Curata da Fabio Benzi, “Giacomo Balla. Dal primo Autoritratto alle Ultime rose” offrirà al pubblico degli studiosi e degli appassionati l’occasione di ripercorrere l’intera carriera dell’artista attraverso una sorprendente galleria di studi preparatori – talvolta inediti - punteggiata da alcune importanti opere definitive. A questi materiali, per lo più direttamente provenienti da Casa Balla e sinora rimasti presso gli eredi, la mostra affida il compito di condurre il visitatore al cuore degli intricati percorsi creativi del grande caposcuola, affiancando incunaboli giovanili, illuminanti bozzetti di capolavori noti e ultime opere. È – scrive Fabio Benzi nell’introduzione in catalogo – “Come entrare nello studio dell’artista e aprire decine di cassetti scoprendo la genesi di capolavori e opere di studio, penetrando nei segreti nascosti dei dipinti a volte più celebri, a volte più privati, ma sempre partecipando di un furor creativo indiscutibile e prepotente, che ci mostra fasi finali e iniziali di un percorso unitario, di un rovello instancabile”.
Balla rappresenta Balla: dal primo autoritratto (1894) a Ball’io (1940)
Questo romanzo per immagini - circa ottanta le opere in mostra – che nello spazio di poche sale racconta un percorso di cinquant’anni, ha un incipit folgorante nel primo autoritratto conosciuto di Giacomo Balla (1894), un piccolo olio di eccezionale importanza storica che si segnala per la trovata di utilizzare come supporto il retro di un ritratto fotografico dell’artista bambino, con il risultato di un inaspettato gioco di specchi tra i due versi del dipinto. Il tema dell’autorappresentazione, cruciale nel catalogo delle opere di Balla, ritorna in Ball’io, pastello del ’40, sempre rimasto nell’appartamento di via Oslavia, a cui in famiglia ci si riferiva scherzosamente come al ritratto del Professor Piccard. A quanto pare per via dei capelli grigi arruffati che molto ricordavano la capigliatura del famoso scienziato, in quel tempo, ricorda Elica Balla, impegnato nell’esplorazione dei “fondi marini con la sua batisfera” .
Balla divisionista: radicalmente innovativo prima delle avanguardie
L’assoluta modernità della sintassi divisionista degli esordi - un sasso gettato nello stagno dello stanco ambiente artistico romano dall’arrivo, nel 1895, di quel torinese “diverso e feroce” (Boccioni) - è ben sintetizzata da un gruppo di studi preparatori per le tele del Ciclo dei Viventi, opere di vertice della fase pre-futurista realizzate tra il 1902 e il 1905. Dei sei bozzetti, uno si riferisce al Mendicante e cinque a due diverse versioni della Pazza, quella in collezione GNAM e una di cui non si conosce l’attuale ubicazione. I disegni preparatori dell’opera dispersa rivelano con illuminante chiarezza l’ispirazione alle opere grafiche di Munch, visto da Balla all’Esposizione degli Amatori e Cultori di Roma e subito fiutato come portatore di un prezioso tesoro di novità.
L’invenzione della lingua futurista
“Lo stato di un’anima che ha un’illusione che a un tratto si rompe” così Filippo Marinetti descrive S’è rotto l’incanto, un grande olio su tela esposto per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1926, ma verosimilmente realizzato tra il 1920 e il 1921, anni in cui Balla può oramai fregiarsi del titolo di indiscusso caposcuola della compagine futurista. In quella straordinaria invenzione cromatica di variazioni sul rosa va visto il momento più alto di una nuova ricerca del suo torrentizio artefice, questa volta concentrato sulla parola. La superficie pittorica è infatti composta da un incastro di elementi geometrici che, a un’osservazione ravvicinata, risultano essere le lettere della parola INCANTO spezzate dall’interferenza di saettanti linee grigie.
La presenza di un capolavoro così singolare non deve però distrarre dalla vera qualità della mostra, che è quella di seguire passo passo l’evoluzione di un artista costantemente impegnato a progettare e rappresentare la modernità.
Sono ad esempio incunaboli di immenso valore gli schizzi delle prime Velocità astratte (1913), “Basi fondamentali” scrive Balla “delle mie forme di pensiero” e anche risultati di una tormentata ricerca durata due anni per arrivare all’obiettivo di un’originale rappresentazione del movimento in pittura, condizione imprescindibile per potersi dire futuristi. La ferma volontà di sottrarsi a qualsiasi forma di dipendenza stilistica dagli ex allievi Boccioni e Severini e dalle scomposizioni cubiste dei francesi rende ardua l’impresa, ma il risultato è l’invenzione di un geniale linguaggio geometrico del tutto inedito tramite il quale Balla riesce a rappresentare qualsiasi fenomeno fisico o psichico attraverso un equivalente astratto.
La nuova, caleidoscopica stenografia futurista è perfetta anche per raccontare la passione interventista, come dimostra il brillante studio preparatorio di Canto patriottico in piazza di Siena (1915), in cui i tre parallelepipidi - uno bianco, uno rosso e uno verde - posti al centro della scena rappresentano i canti patriottici che si innalzano verso il cielo.
Col procedere del tempo, il suo codice futurista si arricchisce di nuovi segni: linee-forza, linee spaziali, linee andamentali, forme-rumore, linee di velocità, forme plastiche, vortici sono vocaboli da organizzare in composizioni sempre più ambiziose:“Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme secondo i capricci della nostra ispirazione”.
Nei bozzetti eseguiti dopo il primo conflitto mondiale, affiora con chiarezza l’esigenza di una trasposizione visiva di quelle idee teosofiche a cui Balla, come molti protagonisti delle avanguardie europee, aveva aderito con entusiasmo. Dietro all’accresciuto interesse per la natura si cela il desiderio di rappresentare la fremente energia della vita. Opera emblematica di questa ricerca è lo studio preparatorio del Risveglio di Primavera (1918) a cui fanno seguito alcuni esempi di Balfiore e un Vortice di giardino degli anni ’20.
Da segnalare anche la presenza di Linee forza di mare, una lunga tempera su carta intelata del 1919 che è il pendant della Futurlibecciata in collezione GNAM; alcuni disegni riconducibili alla magistrale decorazione del Bal Tic Tac, il primo cabaret d’avanguardia realizzato in Europa (1921), e gli importanti progetti di due degli arazzi esposti all’Exposition Internationale des Arts Decoratifs di Parigi nel giugno 1925 (storico evento che sancisce la nascita del Déco): Genio futurista e Mare Velivolato.
Ricostruzione futurista dell’Universo
“Nel ‘500 mi chiamavo Leonardo”, dice Balla di sé, scherzosamente ma non troppo, vista la sua volontà di intervento in ogni piega dell’espressione artistica: pittura, architettura, arredo d’interni, arti applicate scandagliate a 360 gradi, grafica, moda, fotografia, scenografia, cinema, danza, recitazione. Assistito dalla moglie Elisa e dalle figlie Luce ed Elica, trasforma la casa di via Oslavia in una laboriosa fucina creativa dalla quale emergono mobili, suppellettili, oggetti d’uso comune. Tantissime in mostra le testimonianze di quella indefessa attività volta a realizzare la sua idea di arte totale, un percorso entusiasmante che Balla compie più esaustivamente e velocemente degli altri arrivando a un punto – scrive Boccioni – “in cui è difficile che altri si trovi oggi in Europa”
Precursore di un’estetica Pop
L’ultimo, avvincente capitolo della creatività balliana è quello del recupero della figurazione come chiave per uscire dagli accademismi in cui, all’inizio degli anni ’30, l’esperienza del futurismo astratto appare irreversibilmente scivolata. Opere emblematiche della nuova ricerca sono Colorluce (1933) e Pianticella delicata (1937), magistrali ritratti delle figlie Luce ed Elica chiaramente ispirati alle foto delle dive del cinema pubblicate sui rotocalchi popolari. È infatti nel fenomeno del nascente divismo mediatico inventato dalla portentosa industria cinematografica hollywoodiana che Balla, quasi precursore di un’estetica pop, individua la direzione presa dalla modernità.
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