Kill the dreams!
Noi sapiens abbiamo sempre avuto una vera ossessione per il culto dei morti, ma anche gli scimpanzé quando c'è la morte nel gruppo, vivono momenti di commozione, i parenti stretti restano annichiliti per ore.
Mantenere vivi i morti è qualcosa che testimonia quanto e come ragioniamo da scimmie, seppure siamo all'apparenza più articolati, perpetuando storie, dialoghi e norme attraverso segni che in origine abbiamo inciso su tavolette d'argilla o blocchi di pietra.
La scrittura nella nostra storia linguistica (così come i linguaggi dell'arte, che la precedono di 35000 anni), parrebbe essere arrivata all'improvviso nella nostra evoluzione, nella Bassa Mesopotamia e in Egitto, è stata nella pratica la nostra seconda globalizzazione culturale (la prima è stata quella linguistica dell'arte).
Cosa voglio dire?
Che linguaggi dell'arte e scrittura, sono forse insite nella nostra forma biologica di scimmie che creano strumenti per conservare e tramandare la memoria dei morti, sotto forma di rappresentazione a opera d'esseri viventi, insomma specificità animali della nostra specie.
Dialoghi con spiriti ancestrali, ricevuti in sogno come estasi di immaginazione attiva, connettono da sempre direttamente il nostro linguaggio al sogno (incredibile ma difficile da confutare):
pensate i primi testi che fanno capo ai sogni come segni, non sono di Freud, ma degli Assiri 3000 anni fa, lo ZIQIQU stabiliva corrispondenze tra fatti onirici e realtà.
La nostra cultura è nata credendo che nei sogni ci fosse il futuro, cosa è successo dopo?
Come mai abbiamo materializzato un mondo di sogni preposti per il consumatore?
Perché è diventato prioritario nella nostra cultura distruggere l'artista come narratore?