La profondità e l’intensità dell’ispirazione, la purezza incontaminata dello sguardo, l’assenza di sovrastrutture tecnicistiche che si riverbera sulla panica istintualità della visione. Sono questi gli elementi che caratterizzano la poetica di Teresa Imbriani (Arnesano, 1972). Macchina fotografica costantemente a tracolla, la fotografa salentina - barese di adozione - è autrice del libro fotografico “I Luoghi della Creatività”, dedicato agli spazi didattici dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Una selezione di 200 scatti a colori e in bianco e nero, operata dalla stessa Teresa Imbriani su quasi 3 mila fotografie, scattate tra ottobre e novembre 2021 nelle due sedi dell’Accademia di Bari e Mola di Bari, compone il volume. L’opera, prodotta dall’Accademia di Bari per il Cinquantenario della sua fondazione e pubblicato da Posa Edizioni, è stata presentata a metà ottobre 2022 a Bari, alla Libreria Feltrinelli di via Melo, in un incontro con l’autrice, con Giancarlo Chielli, Direttore dell’Accademia, e con Antonella Marino, coordinatrice del Dipartimento Arti Visive. Attraverso il suo obiettivo, Teresa Imbriani è riuscita a cogliere, senza cadere nel didascalico, la magia e l’energia sprigionate negli spazi dell’Accademia di Bari - in procinto di traslocare negli spazi dell’Ex Caserma Rossani - immortalando scenari del vissuto quotidiano di discenti e docenti.
Per la rubrica “Focus on Artist”, Lobodilattice ha intervistato Teresa Imbriani, con la finalità di esplorare il suo universo artistico.
Come hai iniziato il tuo percorso artistico e quali sono state le tappe fondamentali della tua formazione?
In realtà sono sempre stata vicina all’arte senza saperlo. I miei fratelli seguivano, da piccoli, i seminari, anche se nessuno di loro, alla fine, è diventato prete. In casa mia c’erano ovunque libri fotografici su temi religiosi, con immagini iconografiche. Per questo sono cresciuta guardando immagini. Nel 2000, poi, ho aperto un’associazione a Bari Vecchia, creando il progetto fotografico ludico-didattico “Vista dal basso - Bari fotoraccontata dai bambini”, che coinvolgeva, appunto, i bambini che fotografavano la città con macchinette usa e getta. Con le foto stampate istantaneamente – avevamo la Kodak come sponsor – realizzavamo ogni anno una mostra fotografica con catalogo: organizzavamo generalmente esposizioni di vario genere che allestivamo nello spazio espositivo dedicato. Il progetto, promosso dal Comune, dalla Regione, ma anche dalla Presidenza della Repubblica, è durato per 13 edizioni: dal 2000 al 2013. Poi si è concluso con l’avvento del digitale, perché tutti bambini, ormai, avevano il cellulare e si era perso il senso dell’iniziativa. Ho avuto la vera impronta formativa proprio nel corso di questa esperienza: quando ho selezionato le foto per il libro sull’Accademia di Bari ero già abituata a fare opera di selezione con gli scatti dei bambini. Erano foto istintive, inconsapevoli: ho visto dei veri e propri capolavori. I bambini catturavano le immagini dalla loro altezza, ed erano bellissime proprio per questo. La selezione coincide di per sé con il dare una direzione a una mostra o ad un progetto artistico e l’esperienza incamerata con “Vista dal basso” mi ha permesso di scegliere in modo naturale i miei scatti per libro fotografico.
E per quanto riguarda i tuoi studi?
L’Accademia di Belle Arti non era tra le opzioni riguardanti la mia formazione. Non era nel mio vissuto e non esisteva nel mio orizzonte la possibilità di avvicinarmi a quella realtà, che ho sempre concepito come impossibile da sperimentare per me. Come scuola superiore scelsi geometra: uno studio comunque legato al disegno.
Quando hai capito che la fotografia era il linguaggio artistico a te congeniale?
Sempre nel 2000 ho iniziato a misurarmi con la pittura, ma il risultato non era quello che volevo. Con la fotografia, invece, c’è un legame stretto, naturale. La fotografia mi dà la scena così come dev’essere, mentre con la pittura la prospettiva che si sceglie prima di iniziare un quadro non può variare. Pittura e fotografia sono due linguaggi espressivi che esprimono visioni, punti di vista, prospettive diverse. Nella fotografia c’è quel passaggio artificioso che, a mio avviso, dà qualcosa in più rispetto alla pittura: per esempio, io lascio alcune foto al naturale, ma mi diverto a colorarne altre, a metterci effetti, proprio come se fossero quadri. Poi, guardare immagini anziché leggere mi riesce più facile, forse per pigrizia. Non mi piace molto leggere romanzi, a volte mi sembra che le immagini parlino di più. Mi soffermo a guardare, a “pensare” le immagini e a quello che mi evocano.
Tornando al percorso artistico e al mio approccio diretto con la fotografia, dopo l’esperienza con i bambini di “Vista dal basso” iniziai a scattarmi dei selfie per il profilo facebook, utilizzando prima la web cam, poi la macchina fotografica. Da qui iniziai a sperimentare, a postare foto: erano i miei primi lavori. Poi ho conosciuto altri fotografi amatoriali e abbiamo costituito insieme l’associazione "Fotografi di strada", che è ancora operante, e abbiamo organizzato, così, diverse collettive. Nelle mie prime due mostre personali, intitolate "senza distanza", e che ho portato sia a Bari che a Roma, ho presentato esclusivamente autoscatti. Penso di aver avuto la fotografia sempre dentro di me, senza saperlo.
Qual è la tua opinione sul digitale nell’arte fotografica?
Non conosco l’analogico, né la camera oscura, che purtroppo non ho mai visto. Per ora conosco direttamente solo il digitale e mi piace, perché mi fa arrivare dove voglio arrivare e con più facilità rispetto alla pittura. Come spiegavo prima, con la fotografia, poi, posso anche “dipingere” e colorare i miei scatti.
Com’è nata la tua collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Bari? Ci racconti la genesi del libro fotografico?
Quando mi chiamò il Direttore Giancarlo Chielli, che mi chiese di collaborare al corso di fotografia dell’Accademia, gli ricordai che ero autodidatta, ma lui insistette, perché aveva notato i miei lavori postati su facebook e ne era rimasto colpito. Così, per tutto il periodo di ottobre e novembre 2021, ho scattato foto in Accademia: in totale quasi 3 mila scatti dai quali ne ho selezionati 200 per il libro fotografico.
Non avevo mai bazzicato l’Accademia in precedenza: vi sono entrata per la prima volta nella sede di Mola di Bari, che è un monastero molto suggestivo, con aule grandi adibite a laboratorio e un’area con tante cellette. E’ in questa sede che ho scattato la maggior parte delle foto perché qui ci sono i laboratori, dove “si mettono le mani”, dove si crea. Sono entrata in Accademia per la prima volta proprio nel primo giorno di scuola, e al primo ingresso degli studenti del primo anno, come se fossi una studentessa. Li ho immortalati mentre passavano per il chiostro, seguendo il Direttore Chielli che li accompagnava in aula per conoscere i professori. In quei giorni giravo parecchio per le aule. Entravo, durante o dopo le lezioni. Mi sentivo un po’ voyeur, quella che spia dal buco della serratura. E’ stato naturale, comunque, raccontare l’Accademia partendo dai luoghi caratterizzati dai segni del passaggio dei ragazzi.
Nel libro ho cercato di raccontare l’impatto fisico con il luogo in cui accadono tante cose, un luogo che nel mio immaginario è quasi magico, ed è stato naturale raccontare quello che ho visto: ogni giorno era per me una scoperta. In ogni classe in cui entravo c’erano diverse situazioni, ed io volevo seguirle tutte. Starei ore a guardare, a “sentire” queste atmosfere. Ho voluto raccontare questo luogo, che è silenzioso ma nello stesso tempo vissuto. Anche se è popolato da tante persone, qui ognuno è immerso nel proprio mondo e si dedica a rappresentarlo, dialogando con se stesso. Ho inteso rappresentare gli “infiniti mondi possibili”, parafrasando Giordano Bruno: gli infiniti mondi interiori dei giovani artisti. E dare, attraverso la fotografia, il senso della creazione.