Mattia Enna - Piovono Santi
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Mattia Enna - Piovono Santi
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SANTISUBITO
L’altro calendario di Mattia Enna
Santificare mostri è una pratica se non insolita perlomeno contradditoria. In genere, nell’iconografia religiosa – in quella cattolica soprattutto – mostri e santi sono antitetici, combattono tra loro senza esclusione di colpi e i primi, spesso nella loro funzione seduttiva e tentacolare, sono destinati a soccombere per opera dei secondi: come in ogni favola bella, il male, rappresentato dai mostri, viene sconfitto dal bene, identificato nei santi e nella loro proverbiale capacità di resistenza. I mostrini dipinti da Mattia Enna – che pure a tale tradizione attingono, dai bestiari medioevali alla visionarietà nordica di Bosch, fino al nostro medioevo contemporaneo – hanno spesso forme ibridate di bacilli, microbi e germi vagamente antropomorfi, zoomorfi o fitomorfi. Sono altro da noi, familiari e alieni al contempo, col dubbio che si tratti di allegri compagni di viaggio o, talvolta, di una minaccia incombente e pervasiva. In realtà ogni singolo mostrino, nella sua infinita capacità metamorfica, è frutto di un’ironica ostentazione del corpo e dell’anima dell’artista, un’autoanalisi profonda e viscerale. In loro Mattia Enna fa emergere le sue fobie e le sue idiosincrasie: un continuo autoritrarsi senza mai mostrarsi realmente, in un ininterrotto fluire di vizi e ambigue virtù. I SantiSubito – che alla famiglia dei mostrini appartengono – sono predestinati invece alla santificazione essendo dipinti, al contrario dei loro sodali, su fondi corruschi che rimandano all’antica tradizione delle icone bizantine, ai retabli sardi di tradizione gotico-catalana e a quelli, ben più recenti, di Aldo Contini. Si caratterizzano per l’uso della foglia d’oro, d’argento e di rame false o, raramente, nei Santissimi, di foglia d’oro vera su una base di bolo, secondo le più rigorose e tradizionali pratiche di doratura. Tuttavia l’artista, pur attingendo, nelle forme, alle fonti di una consolidata iconografia religiosa, è più vicino, concettualmente, alla tradizione pagana che identificava i monstra come prodigi, “segni” divini inviati agli uomini per ammonire e, insieme, mostrare la volontà divina: il mostro crea, dunque, un legame tra un altrove e la realtà contingente. E tale dimensione relazionale è, infatti, quella che viene attivata dai SantiSubito, comprimari di un processo di beatificazione e canonizzazione instaurato con coloro che ne diventano affidatari. Uno o più per ogni giorno dell’anno, sono individuati dall’artista per empatia e coinvolti in un vero e proprio rito attentamente codificato: estrazione assolutamente casuale dell’icona e del giorno della memoria liturgica; apposizione del nome e individuazione dell’ambito devozionale; emissione della “bolla” ipso facto. Per Mattia Enna la santificazione nasce dal rapporto biunivoco tra l’icona, col suo potere seduttivo che rimanda a «quelle così belle deformità e quelle bellezze deformi» invise a San Bernardo di Chiaravalle, e l’affidatario, costretto, anch’esso ipso facto, a riversare su di essa, senza filtri e mediazioni, le proprie emozioni, insicurezze, fragilità, frustrazioni e desideri, spesso con esiti fortemente ironici, grotteschi, triviali e rabbiosi. L’artista, coi suoi SantiSubito raggruppati in un irriverente calendario per il 2024 e al limite della blasfemia, è riuscito a trasformare i suoi segni iconici in potenti dispositivi relazionali, attrattori e catalizzatori di emozioni talvolta indicibili ma sempre fatali nel legare e far prigionieri gli incauti affidatari.
Ivo Serafino Fenu
PIOVONO SANTI
La posta in gioco, in questo cerimoniale laico e dissacratorio, è elevata e pericolosa; mette in scena tre entità diverse e comunicanti e le carica di pesanti responsabilità: l’artista-sciamano dispensatore di ipotetiche immagini taumaturgighe; una figura-santo da investire di nome, qualità e funzioni; un destinatario che rimane anonimo ma che ha una parte attiva nella relazione triangolare. Tra loro, un patto da rispettare: lo enuncia, nero su bianco, lo stesso artista che affida, a un veritiero documento di adozione l’accordo stipulato. Da quello non si può derogare e in quel patto occorre credere. Con una giusta dose di fiducia, ironia, calcolo del rischio, incondizionata devozione alla causa.
Al di là dell’apparenza ludica dell’azione perfomativa, si tratta, di fatto, di un protocollo di condivisione che svela, nella distribuzione delle parti, il valore etico di un gioco serissimo ad alta funzionalità sociale.
Mattia Enna è il prestigiatore in grado di trasformare mostri in santi con la complicità di un destinatario tanto accondiscendente quanto consapevole di una azione vischiosa e vincolante. Se la casualità ha un ruolo dominante nella scelta dell’icona da adottare, è anche vero che spetta all’interlocutore volontario costruire la storia che assicura vita e funzioni dell’immagine inerme. Investita improvvisamente di una narrazione che le appartiene solo se si è disposti a fare della finzione un atto di fede di religioso tenore, come quello che appartiene a tutti i credo del mondo.
Si compie così una reale drammaturgia nel cui scenario ciascuno si impegna a svolgere un ruolo in divenire, valido per ulteriori verifiche. Comprese le capacità del beato, da comprovare nella prassi quotidiana e di cui si attendono, anche in futuro, possibili conferme. . La dialettica tra le parti in atto diventa, allora, un meccanismo relazionale in grado di ricordarci che l’arte è strumento formidabile per creare incontri inaspettati e densi di misteriose conoscenze. Come in questo caso: cartina di tornasole di tutte le componenti in gioco.
Se l’esistenza futura del Santosubito è dunque nelle mani del suo affidatario, la ideazione dell’icona è frutto invece della creatività di Mattia Enna. A guardarli nel sistema annuale che vanno definendo, i mostrini elevati a Santi giornalieri e remissivi evocano la lunga storia iconologica che hanno alle spalle. Lo ha detto con la solita acutezza che lo contraddistingue Ivo Serafino Fenu, il cui testo critico è preludio indispensabile a queste considerazioni.
Le forme molli e colorate dei mostrini beatificati sembrano dunque discendere direttamente dai bestiari antichi e medievali e, in particolare, da quella tipologia dei cosiddetti “grilli” che hanno popolato l’immaginario arcaico: famiglia varia e sorprendente di creature grottesche e vivacissime, note al mondo greco-romano prima, al linguaggio gotico più tardi e passate in maniera sorprendente nella grande pittura di Hieronymus Bosch (come racconta Jurgis Baltrusatis in “Il Medioevo fantastico”). Va da sé che questa “pittura di diavolerie” conferma, nel tempo, la propensione al mistero e alla magia come condizione atemporale dell’essere umano, in bilico costante tra ragione ed emozione. Mi sembra allora che Mattia Enna mutui quei “prodigi” in creaturine informi e concitate, mobili e flessibili, assai vicine all’opera di un eccentrico designer contemporaneo. Minute e tascabili, questi talismani portatili si prestano sia al viaggio che all’altare domestico senza perdere nulla dell’antico valore allegorico.
E intanto mi appare sempre più chiaro che si tratta di figure apotropaiche, determinate a scacciare il male piuttosto che a manifestarsi nell’estatica bellezza divina. Esseri fantastici si rendono disponibili a catturare, come nei sogni, paure e superstizioni, incubi e tormenti, ma si offrono anche quale giocosa rappresentazione di desideri insondabili. Come angeli decaduti, nonostante siano precipitati a livello bestiale più che umano, i mostrini in versione beatificata nascondono la primitiva origine divina e, nella mutazione genetica subita, si concedono arrendevolmente a personificare il lato più oscuro e ambiguo del nostro sentire. Legando così, in una singolare alleanza, artista e pubblico, entrambi protagonisti di un’ azione corale decisamente vicina alle tendenze più interessanti del contemporaneo. A metà strada tra “Artivisti” e “Iconoclasti” ( ultime tipologie ideate da Vincenzo Trione), l’operazione costruita da Mattia Enna intercetta gli uni e gli altri ma, da entrambi, si allontana alla ricerca di un territorio dove lasciar scorrere molteplici interrogativi. A cominciare da quello più evidente di corrosione dei miti, del divino, delle utopie. Senza volontaria blasfemia, Mattia Enna mette in scena una riflessione sulle nostre capacità di adesione a un ideale, sulle vie trasversali nella ricerca di qualche verità, sulla rivelazione delle superstizioni e sull’audacia delle credenze più irriverenti.
Il repertorio che ne deriva, a leggerlo nelle scelte dei destinatari, mostra nomi bizzarri, funzioni tra il possibile e l’assurdo e qualità spesso altrettanto mostruose come le figurine adottate. Una limitata campionatura di un’umanità inquieta, bisognosa, irritante, fragile o timorosa, dove a dominare è quel tanto di follia che ci fa credere ai mostri.
Mariolina Cosseddu
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