...e si accorsero di essere nudi - Mostra personale di Giovanni Morgese
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...e si accorsero di essere nudi - Mostra personale di Giovanni Morgese
Comunicato
“…e si accorsero di essere nudi”
Mostra personale di Giovanni Morgese
a cura di: Franco Valente
presentazione di Gaetano Mongelli
Dal 17.11 al 9.12 2023
Inaugurazione Venerdì 17 novembre, ore 18.00
Ho conosciuto Giovanni Morgese esattamente cinquant’anni fa. Era l’autunno del 1972, quando assieme a mio fratello Leonardo si iscrisse al “Liceo Artistico” di Bari. Una scelta che, sono parole sue, pur rivelandosi “non facile e alquanto contrastata in famiglia”, gli aprì le porte dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Dove, a fine corso, si diplomerà a pieni voti in Pittura nel 1979 sotto la guida di Michele De Palma, Adele Plotkin, Anna D’Elia e del più vulcanico Pietro Marino: testimoni del suo operato giovanile caratterizzato da “lavori di matrice segnico-informale”, ammaliati dalle inesauribili potenzialità della materia.
In seguito ultimati gli studi accademici Morgese venne allo scoperto, facendosi conoscere intra ed extra moenia. Mi riferisco alla sua prima personale, allestita nel 1980 nella “Galleria Pino Pascali” di Polignano a Mare che, a quei tempi, era allocata in uno spazio sconsacrato: l’ex chiesa di Santo Stefano.
Giovanni Morgese a partire dagli esordi fino agli attuali manufatti, il suo percorso, si è rivelato esemplare, coerente e lineare come pochi: soprattutto nel centrare gli interessi di maggior peso, che ruotano attorno al mistero dell’amore di Dio per l’uomo. Un mistero che, di volta in volta, si fa racconto, scandagliando le lacerazioni che accompagnano la nostra storia di figli di Adamo.
In considerazione del fatto che Morgese si muove in una dimensione in cui non conta la facciata fisica del manifesto, ma la sostanza metafisica della manifestazione. La stessa in grado di riannodare tra loro le relazioni stabilitesi tra cielo e terra, “dal momento che l’atto del re-ligare, riannodare, ingenera la religio”. Una religione che si affida ai “mezzi dell’arte […] umili e inadeguati”, avendo utilizzato di continuo e fino allo spasimo “materiali poveri e naturali, come il legno, il terreno, il ferro”, ma non necessariamente effimeri o di scarto. Un’operazione che, per analogia - senza scomodare Giacometti o altri simulacri - si traduce in “pensiero visivo”, il solo in grado di tradurre una scelta di fede in una scelta di vita.
Gaetano Mongelli
Per info: tel. +39 080 3348982 Fax +39 080 3348982
· Cell. +39 335 7920658 https://www.facebook.com/54ArteContemporanea
· E-mail: info@arte54.it www.giovannimorgese.it – www.arte54.it
“…e si accorsero di essere nudi”
Mostra personale di Giovanni Morgese
a cura di: Franco Valente
presentazione di Gaetano Mongelli
Dal 17.11 al 9.12 2023
Inaugurazione Venerdì 17 novembre, ore 18.00
Ho conosciuto Giovanni Morgese esattamente cinquant’anni fa. Era l’autunno del 1972, quando assieme a mio fratello Leonardo si iscrisse al “Liceo Artistico” di Bari. Una scelta che, sono parole sue, pur rivelandosi “non facile e alquanto contrastata in famiglia”, gli aprì le porte dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Dove, a fine corso, si diplomerà a pieni voti in Pittura nel 1979 sotto la guida di Michele De Palma, Adele Plotkin, Anna D’Elia e del più vulcanico Pietro Marino: testimoni del suo operato giovanile caratterizzato da “lavori di matrice segnico-informale”, ammaliati dalle inesauribili potenzialità della materia.
In seguito ultimati gli studi accademici Morgese venne allo scoperto, facendosi conoscere intra ed extra moenia. Mi riferisco alla sua prima personale, allestita nel 1980 nella “Galleria Pino Pascali” di Polignano a Mare che, a quei tempi, era allocata in uno spazio sconsacrato: l’ex chiesa di Santo Stefano.
Giovanni Morgese a partire dagli esordi fino agli attuali manufatti, il suo percorso, si è rivelato esemplare, coerente e lineare come pochi: soprattutto nel centrare gli interessi di maggior peso, che ruotano attorno al mistero dell’amore di Dio per l’uomo. Un mistero che, di volta in volta, si fa racconto, scandagliando le lacerazioni che accompagnano la nostra storia di figli di Adamo.
In considerazione del fatto che Morgese si muove in una dimensione in cui non conta la facciata fisica del manifesto, ma la sostanza metafisica della manifestazione. La stessa in grado di riannodare tra loro le relazioni stabilitesi tra cielo e terra, “dal momento che l’atto del re-ligare, riannodare, ingenera la religio”. Una religione che si affida ai “mezzi dell’arte […] umili e inadeguati”, avendo utilizzato di continuo e fino allo spasimo “materiali poveri e naturali, come il legno, il terreno, il ferro”, ma non necessariamente effimeri o di scarto. Un’operazione che, per analogia - senza scomodare Giacometti o altri simulacri - si traduce in “pensiero visivo”, il solo in grado di tradurre una scelta di fede in una scelta di vita.
Gaetano Mongelli
Per info: tel. +39 080 3348982 Fax +39 080 3348982
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Mostra personale di Giovanni Morgese
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presentazione di Gaetano Mongelli
Dal 17.11 al 9.12 2023
Inaugurazione Venerdì 17 novembre, ore 18.00
Ho conosciuto Giovanni Morgese esattamente cinquant’anni fa. Era l’autunno del 1972, quando assieme a mio fratello Leonardo si iscrisse al “Liceo Artistico” di Bari. Una scelta che, sono parole sue, pur rivelandosi “non facile e alquanto contrastata in famiglia”, gli aprì le porte dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Dove, a fine corso, si diplomerà a pieni voti in Pittura nel 1979 sotto la guida di Michele De Palma, Adele Plotkin, Anna D’Elia e del più vulcanico Pietro Marino: testimoni del suo operato giovanile caratterizzato da “lavori di matrice segnico-informale”, ammaliati dalle inesauribili potenzialità della materia.
In seguito ultimati gli studi accademici Morgese venne allo scoperto, facendosi conoscere intra ed extra moenia. Mi riferisco alla sua prima personale, allestita nel 1980 nella “Galleria Pino Pascali” di Polignano a Mare che, a quei tempi, era allocata in uno spazio sconsacrato: l’ex chiesa di Santo Stefano.
Giovanni Morgese a partire dagli esordi fino agli attuali manufatti, il suo percorso, si è rivelato esemplare, coerente e lineare come pochi: soprattutto nel centrare gli interessi di maggior peso, che ruotano attorno al mistero dell’amore di Dio per l’uomo. Un mistero che, di volta in volta, si fa racconto, scandagliando le lacerazioni che accompagnano la nostra storia di figli di Adamo.
In considerazione del fatto che Morgese si muove in una dimensione in cui non conta la facciata fisica del manifesto, ma la sostanza metafisica della manifestazione. La stessa in grado di riannodare tra loro le relazioni stabilitesi tra cielo e terra, “dal momento che l’atto del re-ligare, riannodare, ingenera la religio”. Una religione che si affida ai “mezzi dell’arte […] umili e inadeguati”, avendo utilizzato di continuo e fino allo spasimo “materiali poveri e naturali, come il legno, il terreno, il ferro”, ma non necessariamente effimeri o di scarto. Un’operazione che, per analogia - senza scomodare Giacometti o altri simulacri - si traduce in “pensiero visivo”, il solo in grado di tradurre una scelta di fede in una scelta di vita.
Gaetano Mongelli
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Ho conosciuto Giovanni Morgese esattamente cinquant’anni fa. Era l’autunno del 1972, quando assieme a mio fratello Leonardo si iscrisse al “Liceo Artistico” di Bari. Una scelta che, sono parole sue, pur rivelandosi “non facile e alquanto contrastata in famiglia”, gli aprì le porte dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Dove, a fine corso, si diplomerà a pieni voti in Pittura nel 1979 sotto la guida di Michele De Palma, Adele Plotkin, Anna D’Elia e del più vulcanico Pietro Marino: testimoni del suo operato giovanile caratterizzato da “lavori di matrice segnico-informale”, ammaliati dalle inesauribili potenzialità della materia.
In seguito ultimati gli studi accademici Morgese venne allo scoperto, facendosi conoscere intra ed extra moenia. Mi riferisco alla sua prima personale, allestita nel 1980 nella “Galleria Pino Pascali” di Polignano a Mare che, a quei tempi, era allocata in uno spazio sconsacrato: l’ex chiesa di Santo Stefano.
Giovanni Morgese a partire dagli esordi fino agli attuali manufatti, il suo percorso, si è rivelato esemplare, coerente e lineare come pochi: soprattutto nel centrare gli interessi di maggior peso, che ruotano attorno al mistero dell’amore di Dio per l’uomo. Un mistero che, di volta in volta, si fa racconto, scandagliando le lacerazioni che accompagnano la nostra storia di figli di Adamo.
In considerazione del fatto che Morgese si muove in una dimensione in cui non conta la facciata fisica del manifesto, ma la sostanza metafisica della manifestazione. La stessa in grado di riannodare tra loro le relazioni stabilitesi tra cielo e terra, “dal momento che l’atto del re-ligare, riannodare, ingenera la religio”. Una religione che si affida ai “mezzi dell’arte […] umili e inadeguati”, avendo utilizzato di continuo e fino allo spasimo “materiali poveri e naturali, come il legno, il terreno, il ferro”, ma non necessariamente effimeri o di scarto. Un’operazione che, per analogia - senza scomodare Giacometti o altri simulacri - si traduce in “pensiero visivo”, il solo in grado di tradurre una scelta di fede in una scelta di vita.
Gaetano Mongelli
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Ho conosciuto Giovanni Morgese esattamente cinquant’anni fa. Era l’autunno del 1972, quando assieme a mio fratello Leonardo si iscrisse al “Liceo Artistico” di Bari. Una scelta che, sono parole sue, pur rivelandosi “non facile e alquanto contrastata in famiglia”, gli aprì le porte dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Dove, a fine corso, si diplomerà a pieni voti in Pittura nel 1979 sotto la guida di Michele De Palma, Adele Plotkin, Anna D’Elia e del più vulcanico Pietro Marino: testimoni del suo operato giovanile caratterizzato da “lavori di matrice segnico-informale”, ammaliati dalle inesauribili potenzialità della materia.
In seguito ultimati gli studi accademici Morgese venne allo scoperto, facendosi conoscere intra ed extra moenia. Mi riferisco alla sua prima personale, allestita nel 1980 nella “Galleria Pino Pascali” di Polignano a Mare che, a quei tempi, era allocata in uno spazio sconsacrato: l’ex chiesa di Santo Stefano.
Giovanni Morgese a partire dagli esordi fino agli attuali manufatti, il suo percorso, si è rivelato esemplare, coerente e lineare come pochi: soprattutto nel centrare gli interessi di maggior peso, che ruotano attorno al mistero dell’amore di Dio per l’uomo. Un mistero che, di volta in volta, si fa racconto, scandagliando le lacerazioni che accompagnano la nostra storia di figli di Adamo.
In considerazione del fatto che Morgese si muove in una dimensione in cui non conta la facciata fisica del manifesto, ma la sostanza metafisica della manifestazione. La stessa in grado di riannodare tra loro le relazioni stabilitesi tra cielo e terra, “dal momento che l’atto del re-ligare, riannodare, ingenera la religio”. Una religione che si affida ai “mezzi dell’arte […] umili e inadeguati”, avendo utilizzato di continuo e fino allo spasimo “materiali poveri e naturali, come il legno, il terreno, il ferro”, ma non necessariamente effimeri o di scarto. Un’operazione che, per analogia - senza scomodare Giacometti o altri simulacri - si traduce in “pensiero visivo”, il solo in grado di tradurre una scelta di fede in una scelta di vita.
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Ho conosciuto Giovanni Morgese esattamente cinquant’anni fa. Era l’autunno del 1972, quando assieme a mio fratello Leonardo si iscrisse al “Liceo Artistico” di Bari. Una scelta che, sono parole sue, pur rivelandosi “non facile e alquanto contrastata in famiglia”, gli aprì le porte dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Dove, a fine corso, si diplomerà a pieni voti in Pittura nel 1979 sotto la guida di Michele De Palma, Adele Plotkin, Anna D’Elia e del più vulcanico Pietro Marino: testimoni del suo operato giovanile caratterizzato da “lavori di matrice segnico-informale”, ammaliati dalle inesauribili potenzialità della materia.
In seguito ultimati gli studi accademici Morgese venne allo scoperto, facendosi conoscere intra ed extra moenia. Mi riferisco alla sua prima personale, allestita nel 1980 nella “Galleria Pino Pascali” di Polignano a Mare che, a quei tempi, era allocata in uno spazio sconsacrato: l’ex chiesa di Santo Stefano.
Giovanni Morgese a partire dagli esordi fino agli attuali manufatti, il suo percorso, si è rivelato esemplare, coerente e lineare come pochi: soprattutto nel centrare gli interessi di maggior peso, che ruotano attorno al mistero dell’amore di Dio per l’uomo. Un mistero che, di volta in volta, si fa racconto, scandagliando le lacerazioni che accompagnano la nostra storia di figli di Adamo.
In considerazione del fatto che Morgese si muove in una dimensione in cui non conta la facciata fisica del manifesto, ma la sostanza metafisica della manifestazione. La stessa in grado di riannodare tra loro le relazioni stabilitesi tra cielo e terra, “dal momento che l’atto del re-ligare, riannodare, ingenera la religio”. Una religione che si affida ai “mezzi dell’arte […] umili e inadeguati”, avendo utilizzato di continuo e fino allo spasimo “materiali poveri e naturali, come il legno, il terreno, il ferro”, ma non necessariamente effimeri o di scarto. Un’operazione che, per analogia - senza scomodare Giacometti o altri simulacri - si traduce in “pensiero visivo”, il solo in grado di tradurre una scelta di fede in una scelta di vita.
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In seguito ultimati gli studi accademici Morgese venne allo scoperto, facendosi conoscere intra ed extra moenia. Mi riferisco alla sua prima personale, allestita nel 1980 nella “Galleria Pino Pascali” di Polignano a Mare che, a quei tempi, era allocata in uno spazio sconsacrato: l’ex chiesa di Santo Stefano.
Giovanni Morgese a partire dagli esordi fino agli attuali manufatti, il suo percorso, si è rivelato esemplare, coerente e lineare come pochi: soprattutto nel centrare gli interessi di maggior peso, che ruotano attorno al mistero dell’amore di Dio per l’uomo. Un mistero che, di volta in volta, si fa racconto, scandagliando le lacerazioni che accompagnano la nostra storia di figli di Adamo.
In considerazione del fatto che Morgese si muove in una dimensione in cui non conta la facciata fisica del manifesto, ma la sostanza metafisica della manifestazione. La stessa in grado di riannodare tra loro le relazioni stabilitesi tra cielo e terra, “dal momento che l’atto del re-ligare, riannodare, ingenera la religio”. Una religione che si affida ai “mezzi dell’arte […] umili e inadeguati”, avendo utilizzato di continuo e fino allo spasimo “materiali poveri e naturali, come il legno, il terreno, il ferro”, ma non necessariamente effimeri o di scarto. Un’operazione che, per analogia - senza scomodare Giacometti o altri simulacri - si traduce in “pensiero visivo”, il solo in grado di tradurre una scelta di fede in una scelta di vita.
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Ho conosciuto Giovanni Morgese esattamente cinquant’anni fa. Era l’autunno del 1972, quando assieme a mio fratello Leonardo si iscrisse al “Liceo Artistico” di Bari. Una scelta che, sono parole sue, pur rivelandosi “non facile e alquanto contrastata in famiglia”, gli aprì le porte dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Dove, a fine corso, si diplomerà a pieni voti in Pittura nel 1979 sotto la guida di Michele De Palma, Adele Plotkin, Anna D’Elia e del più vulcanico Pietro Marino: testimoni del suo operato giovanile caratterizzato da “lavori di matrice segnico-informale”, ammaliati dalle inesauribili potenzialità della materia.
In seguito ultimati gli studi accademici Morgese venne allo scoperto, facendosi conoscere intra ed extra moenia. Mi riferisco alla sua prima personale, allestita nel 1980 nella “Galleria Pino Pascali” di Polignano a Mare che, a quei tempi, era allocata in uno spazio sconsacrato: l’ex chiesa di Santo Stefano.
Giovanni Morgese a partire dagli esordi fino agli attuali manufatti, il suo percorso, si è rivelato esemplare, coerente e lineare come pochi: soprattutto nel centrare gli interessi di maggior peso, che ruotano attorno al mistero dell’amore di Dio per l’uomo. Un mistero che, di volta in volta, si fa racconto, scandagliando le lacerazioni che accompagnano la nostra storia di figli di Adamo.
In considerazione del fatto che Morgese si muove in una dimensione in cui non conta la facciata fisica del manifesto, ma la sostanza metafisica della manifestazione. La stessa in grado di riannodare tra loro le relazioni stabilitesi tra cielo e terra, “dal momento che l’atto del re-ligare, riannodare, ingenera la religio”. Una religione che si affida ai “mezzi dell’arte […] umili e inadeguati”, avendo utilizzato di continuo e fino allo spasimo “materiali poveri e naturali, come il legno, il terreno, il ferro”, ma non necessariamente effimeri o di scarto. Un’operazione che, per analogia - senza scomodare Giacometti o altri simulacri - si traduce in “pensiero visivo”, il solo in grado di tradurre una scelta di fede in una scelta di vita.
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