Il gioco (e l’arte) per tornare a vivere. Installazioni artistiche nel nuovo Parco Giochi di Amatrice
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Il gioco (e l’arte) per tornare a vivere. Installazioni artistiche nel nuovo Parco Giochi di Amatrice
Comunicato
Il gioco (e l’arte) per tornare a vivere.
Installazioni artistiche nel nuovo Parco Giochi di Amatrice
Roberta Morzetti - Angelo Savarese - Alberto Timossi - Stefano Trappolini
A cura di Velia Littera della Galleria Pavart di Roma
Con il patrocinio del Comune di Amatrice
Inaugurazione 12 maggio 2018 ore 12.00 | Amatrice
Il giorno 12 maggio 2018 verrà inaugurato, alla presenza delle autorità locali e del ex-Sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi e Filippo Palombini avente funzioni di Sindaco reggente, il nuovo Parco Giochi di Amatrice “Don Giovanni Minozzi”, realizzato e donato al Comune di Amatrice da ACADI, progettato dallo studio di architettura Francesco Andreani.
Amatrice rinasce con il gioco e con l’arte: nuovi giochi e percorsi organizzati, uno spazio inclusivo, creativo e commemorativo adornato anche da installazioni artistiche a cura della Galleria Pavart di Roma.
Quattro gli artisti selezionati dalla curatrice della galleria Velia Littera: Roberta Morzetti, Angelo Savarese, Alberto Timossi, Stefano Trappolini.
Il progetto artistico vede anche la partecipazione della scrittrice Chiara Gamberale ed è stato reso possibile grazie al contributo di Snai, Codere, Gamenet, Hbg, NtsNetwork, AdmiralGaming Network.
Amatrice vuole rinascere, con i tempi e i passi che saranno necessari: la comunità è forte e vuole scrivere una pagina nuova della propria storia, che comprenderà anche il doloroso capitolo del 24 agosto 2016. Il nuovo parco giochi costituisce, quindi, il simbolico punto di equilibrio tra le istanze sociali e il contributo imprenditoriale. Il progetto nasce con l’obiettivo di dare un aiuto concreto alla ricostruzione attraverso l’individuazione di uno spazio condiviso che ponga le basi per la rinascita della comunità, in particolare in ambito educativo, sociale e culturale.
All’interno del parco sono state collocate delle strutture metalliche colorate tipo totem che alloggeranno fronte/retro delle opere artistiche di grandi dimensioni. Accoglierà il visitatore, all’ingresso del parco, il primo totem giallo con la scultura “Bona Dea 2018” di Roberta Morzetti, una rielaborazione in chiave contemporanea della Grande Madre, dea della Natura e della Spiritualità, fonte divina di ogni nascita che avviene sulla terra, simbolo della capacità infinita di rigenerarsi, di autoguarirsi e di donare ricchezza e prosperità. Sul retro il testo “VITA” su lastra colorata di Chiara Gamberale tratto dal racconto “Una gravidanza”.
A seguire i totem (blu, verde e rosso) come punti di fuga dei percorsi previsti dal progetto architettonico: le opere fronte/retro “Memoria” di Angelo Savarese, “Attraverso il Passato” di Stefano Trappolini e “Tracce” di Alberto Timossi che inneggiano al colore, alla speranza e alla condivisione.
L’artista Stefano Trappolini, nello specifico, ha realizzato dei fondi colorati informali, in parte realizzati con la tecnica del dripping con l’aiuto degli studenti della scuola elementare e media di Amatrice, che saranno parzialmente coperti dalle sagome colorate di plexiglas e che rappresentano l’uomo che cammina verso la rinascita. Angelo Saverese assembla 72 tessere di un puzzle che simboleggiano l’unione e la ricostruzione, possibile solo grazie alla forza di tutti, per conservare la memoria delle persone che hanno lasciato la propria vita in questo luogo e i loro nomi di battesimo restano impressi sulla tela per non dimenticare.
Alberto Timossi, infine, ha ideato una scultura realizzata con i suoi tubi smaltati di colore rosso che attraversano la pannellatura bianca del totem: 5 elementi rossi modellati dal tempo e dalla storia, segni di un passaggio che distingue il prima dal dopo ma che conserva la memoria.
Roberta Morzetti nasce a Tarquinia nel 1979. Si forma all'Accademia di Belle Arti "Lorenzo da Viterbo" (ABAV), al corso di Moda e Costume, in Viterbo, conseguendo, nell’anno 2005, il diploma accademico con lode. Inizia le sue esperienze lavorative nel mondo della moda, ideando linee di abbigliamento con materiali riciclati (Leccaletichetta, CementArmato, Aporie). A Roma, diviene assistente ai costumi di Andrea Viotti, nella compagnia di Gabriele Lavia (“Le Nozze di Figaro”, regia di Matteo Tarasco, 2007, Teatro Eliseo; “Misura per Misura”, regia di Gabriele Lavia, 2007, Teatro Argentina), di Laura Costantini (per i musicals “A un passo dal sogno”, 2008, “Portamitanterose.it”, 2009, regia di Marco Mattolini, Teatro Brancaccio; per il film “Non c’è due senza te”, regia di Massimo Cappelli, 2015), di Michela Marino (per il cortometraggio “Anni 30”, regia di Luciano Melchionna, 2008). Dal 2012, si dedica all'ideazione e alla realizzazione di sculture di grandi dimensioni, eseguendo calchi direttamente sul proprio corpo, per poi rielaborare, incendiare ed assemblare con altri oggetti i lavori così ottenuti. Nel 2012, presso il Circolo degli Artisti, in Roma, espone vari lavori nella mostra collettiva WI FI Art (Curatore Pietro Paolo Cannistraci). Sempre nel 2012, realizza “BebèBangBang”, che nel 2015 viene inserita nella collezione permanente del MAAM di Roma (Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia, Curatore Giorgio de Finis). Nel 2012, espone alcune opere nell’ambito della mostra collettiva “Un non so che”, Palazzo Farnese, in Tuscania (VT). Nel 2015, consegue il primo premio Medusa Aurea, dell’Accademia Internazionale d’Arte Moderna, in Roma, nella sezione Scultura, con l’opera “C5-C7”. Nel 2016, progetta e realizza l’opera “la Muerte Borracha”, in esposizione permanente presso Inofficina, in Roma. Nel 2017 partecipa a due mostre collettive nella Galleria Pavart di Roma e alcune opere sono in esposizione ancora oggi presso la Galleria Pavart, in Roma. La produzione artistica di Roberta ci espone una manualità che trasforma la materia per esprimere i suoi alti rapporti ideali, ma trascina sul fondo della pulsione artistica una funzione curativa, risarcitiva di un dolore che risulta una costante onnipresente; la prima spinta creativa è quindi il suo vissuto, i suoi ricordi, che vegliano costantemente sul processo di concepimento in modo che vi sia simbiosi e sintesi tra la passione creatrice che necessita della materia trasformata ed i significati del lavoro completato che sono molteplici ed impregnati di valenze simboliche, con divinità ctonie onnipresenti sullo sfondo, anche se non visibili.
Angelo Savarese. L’arte nella vita di Angelo Savarese è da sempre passione e cerca di emergere sin dalla sua giovane età; già fanciullo, dipinge ispirandosi ai grandi artisti. Nasce a Napoli nel 1967 e dopo qualche anno si trasferisce a Roma, ma sembra avere ereditato dalla sua città natale le curiosità delle cose del mondo, quindi la genetica del suo passato lo proietta nel suo futuro romano. A Roma cresce, si forma, inizia il suo percorso artistico ed è qui che vive e lavora. Attento osservatore e uomo dai grandi valori, ha trovato il modo di esprimersi con una tecnica artistica tutta sua. Uomo dalle poche parole, sembrerebbe, in realtà le parole confluiscono nella sua mente in modo armonioso e sono quelle che lui riversa sulla tela diventando queste il fondo stesso, dove poi dialoga con colori posti irregolarmente, astrattamente e abilmente. Le opere di Savarese appaiono quindi un mix di precisione e disordine, laddove la precisione delle lettere scritte con una calligrafia a rilievo definita con tecnica ed elementi vari, creano un secondo strato sulla tela e diventano il messaggio inequivocabile dell’opera stessa, mentre l’informalità si riflette con la combinazione dei colori posti o “buttati” sulla tela in modo informale e materico come tocco finale. Il risultato...un’arte che racconta. Da sempre Savarese vuole raccontare, vuole fermare l’attimo, vuole onorare le parole sue come di altri, vuole far parte del mondo, vuole dialogare con il suo “io” curioso. Il futuro dell’artista lo vede impegnato in progetti d’arte piuttosto che creare la singola opera. Sempre attento a temi di stampo sociale egli usa la sua arte con un nuovo indirizzo, creare dei progetti a tema che raggruppano varie opere similari nell’ambito del progetto stesso, ognuna con un suo messaggio e valore intrinseco. Flags è un progetto che l’artista porta avanti da vari anni con l’obiettivo di realizzare tutte le bandiere del mondo in stile “Savarese”, quindi la voglia di unirlo attraverso l’arte, intesa come veicolo di pace. Mannequin, un altro recente progetto legato a temi quali la solitudine, la repressione, la tristezza, la sofferenza dell’uomo contemporaneo porta Savarese a dialogare con dei manichini ai quali egli dona un imprinting di parole, materia e colori, nel tentativo di umanizzarli: un chiaro grido di aiuto per salvare le nuove generazioni dai pericoli di questo mondo così falsamente globalizzato, tecnologico e “Wi-Fi”! (Velia Littera 2017)
Alberto Timossi (Napoli 1965), si è formato fra Genova e Carrara, dove ha frequentato l’Accademia di scultura. Vive a lavora a Roma. Intende la scultura come intervento nello spazio urbano e installazione ambientale. In un primo periodo si è interessato ad indagare il “peso” con l’esercizio della scultura in cemento, marmo e pietra (“Se voir”, Kunsthaus Beim Engel, Lussemburgo, 1993; Galerie Ymage, Nizza, 1994, e nei Simposi di Whei-Hai, in Cina nel 1993; Horice V Podkrkonosi, nella Repubblica Ceca, 1994; “Moto perpetuo” di Pescocostanzo 1996-98 di cui è stato l’organizzatore), e la “leggerezza” delle forme realizzate in tondini di ferro e corde, come disegni nello spazio (Galleria Centro di Sarro, Roma, 1994; Premio di Scultura Renato Carnevale, Museo di Villa Croce, Genova, 1996; Premio Marche, Ancona, 1996; “Simple dialogues”, Plaza Gallery, Tokyo, 1997; “Periplo della scultura italiana contemporanea 2”, Chiese rupestri di Matera, 2000; “Giovani artisti all’inizio del nuovo millennio”, Chiostro del Bramante, Roma, 2000; Premio giovani scultura 2002”, Accademia Nazionale di San Luca, Roma). Dai primi anni 2000 privilegia la forma del tubo, capace di dialogare con gli spazi interni e esterni degli edifici (“Largo gesto”, Albornoz Palace Hotel, Spoleto, 2003; “Innesti”, Fondazione Pastificio Cerere, Roma, 2006; “Parti del discorso”, Galleria Tralevolte, Roma e Musma, Museo della scultura, Matera, 2008; “Accento in rosso”, Torre Civica di Pomezia, 2012) ma anche di proporsi come elemento strutturale a sé immerso nella natura (Beelden in Gees, Olanda; Bad Ragartz, 6° Triennale di Scultura, Svizzera, 2015). Ha lavorato insieme con il musicista elettroacustico Simone Pappalardo nella realizzazione di sculture sonore e di performance (Anywhere, Galleria Trebisonda, Perugia e Teatro Furio Camillo, Roma, 2005; “Crisalide”, Emufest, Conservatorio Santa Cecilia, Roma, 2009); nel progetto mai realizzato su Porta San Paolo intitolato “S.U. Segnali urbani” Roma 2010, fino alla recente collaborazione per Spilli 2018. Nel 2013 ha tenuto una personale nella Collezione Manzù di Ardea, l’anno successivo ha dialogato con le architetture medievali del palazzo dei Consoli di Gubbio nella personale “Flussi, il rosso, il giallo”. E’ stato presente alle prime tre edizioni della Biennale di scultura di Piazzola sul Brenta (2013-15-17) sempre cercando il dialogo con lo spazio aperto, l’acqua dei canali e l’architettura storica. Sue sculture ambientali sono presenti nel MAAM di Roma (2014), nel Parco di sculture della Scala Santa di Roma (2014) e nel DIF di Formello (2016), nonché nel nuovo Museo dei Bocs Art di Cosenza (2017). Negli ultimi anni dedica maggiore attenzione ai temi dell’ambiente che muta (“Illusione”, Cave Michelangelo, Carrara, 2015; “Spilli”, Lago ex Snia, Roma, 2018) e al cambiamento climatico (“Fata Morgana, dentro l’antropocene”, Lago del Rock Glacier del Col d’Olen, Gressoney La Trinité, 2017).
Stefano Trappolini è nato nel 1964 e si è diplomato all’accademia delle belle arti di Roma nel 1990 nella sezione di pittura. La sua ricerca è prevalentemente indirizzata alla pittura ed alla video-arte. Dal 1992 insegna arte della fotografia e della cinematografia al Liceo artistico statale di Pomezia. Costante nella pittura di Stefano Trappolini è la ricerca sul simbolo, indagato attraverso la materia e il colore. Il simbolo è per sua stessa natura frutto di un segno scelto, realizzato attraverso il gesto pittorico, il discorso e diviene contenitore della scintilla dell’idea: il concetto. Studiando l’intera produzione del maestro, possiamo subito notare come il simbolo si conceda nella sua riconoscibilità figurativa, nell’intenzione di mostrare la sua natura primordiale. Quindi in questo processo di ricerca del vero, la pittura diventa prolungamento del pensiero dell’artista attraverso la materia, il colore e la luce, i suoi mezzi di indagine. E nell’opera che l’artista racconta la sua ricerca come un discorso attraverso il quale si manifesta l’ardore e il dolore curioso di chi è pronto a scardinare le regole, ad indagare le viscere, per raggiungere la consapevolezza di aver sfiorato, anche solo per un istante, la forma del simbolo puro: l’equilibrio. Il processo di ricerca dell’artista è accompagnato e accompagna il nostro percorso di indagine con la luce, costante in tutte le opere presentate in questa mostra personale; studiata, rielaborata da Trappolini in tutti i suoi lavori. Una luce che fa da guida al discorso, la luce interiore che si rafforza nel divenire luce dell’intelletto. La luce che guida la mano e lo sguardo di un’artista che vuole vedere “oltre” vuole “dentro”. Per questo motivo la sagoma abbandona il suo cliché e cammina: sulla tela, sulle carte, sul legno; buca il suo supporto e racconta spaccati di contemporaneità, spaccati di vita. Ha tenuto diverse conferenze tra queste nel 2013 La prospettiva nell’arte informale Università di Roma Tre, facoltà di architettura e nel 2014 Incontri con l’autore Padova Università facoltà progettazione e gestione del turismo culturale; ha collaborato, per il museo archeologico di Spoleto, con il poeta Valerio Magrelli con l’opera Accidia. Le sue opere sono presenti in importanti collezioni private in Italia ed all’estero. Sue opere sono presenti: alla galleria “La nuvola”, alla galleria Horti Lamiani Bettivò e allo studio Pavart di Roma. Dal 2010 è presente nel catalogo generale ed in esposizione permanente della Galleria Civica d’arte Contemporanea di Termoli. Hanno scritto di lui: Balzer, P. Balmas, I. D’Agostino, C. Mazzarelli, A. D’Ambruoso, A. Rubini, L. Canova, G. Calò, Di Veroli, E. Romanelli, F. Barbi, S. Dell’Aira, R. Guidelli, C. Subrizi, D. De Angelis, V. Littera, M. Panizza, F. D’Achille, L. Cianfarani C. C. Frigo, D. Fonti.
INFO
Il gioco (e l’arte) per tornare a vivere.
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Roberta Morzetti - Angelo Savarese - Alberto Timossi - Stefano Trappolini
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Per info sul progetto artistico del nuovo Parco Don G. Minozzi di Amatrice: info@pavart.it
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