Uno spazio banale e inutile, che come tanti non avrebbe veramente nessuna ragione di esistere
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Uno spazio banale e inutile, che come tanti non avrebbe veramente nessuna ragione di esistere
Comunicato
Dall’architettura come strumento caratterizzante del paesaggio, al forte legame tra ambiente e territorio si struttura così in parte la ricerca artistica di Marco Schiavone formalizzata attraverso il linguaggio della fotografia. In occasione della sua seconda esposizione personale, l’artista si sofferma sull’analisi di una tipica costruzione rurale, che connota particolarmente il panorama salentino, con l’utilizzo architettonico della pietra calcarea (in dialetto il cute).
La pietra viva, elemento particolarmente abbondante nelle distese campagne dell’entroterra, ha rappresentato per generazioni di contadini quasi una risorsa primaria nelle costruzioni rurali; per gli uomini della cultura campestre, questi singoli massi, disseminati un po’ ovunque, sono strumenti arcaici fondamentali, elementi portanti nella realizzazione delle costruzioni a secco, ovvero senza l’utilizzo della malta.
Quella di Marco Schiavone è un’operazione site-specific che prende corpo, in un primo momento, da un’esplorazione empirica fatta di appunti, disegni e letture e, successivamente, da una pratica quasi esperienziale ragionata in situ durante alcuni sopralluoghi effettuati nei mesi precedenti.
Entrambi i momenti di preparazione alla mostra hanno rappresentato delle riflessioni sulla funzionalità della pietra come elemento architettonico che preludono, nel processo elaborato da Schiavone, a una fase intermedia nella quale la pratica materica dell’artista è alla base del concetto scultoreo di struttura, come idea formale che idealizza e simula la presenza di un muretto a secco all’interno dell’opera fotografica.
Dunque emerge così un tentativo diacronico che, in corso d’opera, contribuisce a creare una concezione pratica del soggetto in esame.Questo nuovo lavoro, che nasce da una osservazione di Marco Schiavone sul libro Walkscapes: Camminare come pratica esteticadi Francesco Careri, è un’ideale prosecuzione di un personale sviluppo di indagine che il giovane artista ha avviato nel 2017 con la mostra “Qualcosa che sta per qualcuno al posto di qualcos’altro” inaugurata da Spaziobuonasera a Torino.
In occasione dell’esposizione leccese, Schiavone non intende avvicinarsi in maniera realistica e fedele all’estetica classica dell’oggetto legato concetto di mimesi, ma esalta la forma simbolica, quella identitaria e strutturale come conoscenza dello spazio e del territorio in continua trasformazione; ne deriva un’osservazione su come i processi di meccanizzazione agricola innescano delle dinamiche di rarefazione nei confronti dell’architettura locale.
In questa serie di lavori realizzati su grandi e piccoli formati si percepisce una sorta di invito non detto ad andare alla ricerca di spazi aperti per poter comprendere le tracce del nostro passato e l’assenza del nostro fare contemporaneo. Le opere fotografiche di Marco Schiavone sono delle puntuali visioni semiotiche sull’osservazione paesaggistica di carattere astratto poiché, l’oggetto raffigurato, è inteso come un simbolo che rimanda a delle idee, e per questo definito di diritto criterio immateriale di rappresentazione della realtà.
Le sue immagini basate sulla riproduzione plastica dell’oggetto di senso compiuto e sull’assenza della costruzione sono il segno di qualcosa di sfuggente e non del tutto realizzato, ma fortemente presente come traccia di un determinato momento, ossia il tempo specifico dedicato al fruitore.
Nota Critica: Giuseppe Amedeo Arnesano
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