"Uno spazio banale e inutile che come tanti non avrebbe veramente nessuna ragione di esistere", è l’emblematico titolo della personale di Marco Schiavone, a cura del collettivo FAC (Caterina Quarta, Alice Caracciolo, Giuseppe Amedeo Arnesano) visitabile sino al 19 maggio presso gli spazi di LO.FT a Lecce.
Banalità e inutilità, del luogo preposto e proposto, si rivelano essere un tentativo di disambiguazione, che, realmente, restituiscono valenza simbolica a ciò che nell’ordinario oggettivo, rimane invisibile.
L’indubbia e rintracciabile dimestichezza di Schiavone nella pratiche artistiche, affonda radici nella fotografia, risorsa utilizzata come mezzo di indagine e commensura dei rapporti tra l’uomo e lo spazio.
Aperto come territorio esteso, perimetrato da contorni e delimitazioni umane, solcato dalle architetture che si sono stratificate nel corso di civiltà ed epoche, l’ambiente ed il paesaggio assurgono a prodromo di indagine. Una sineddoche visiva che conduce dai luoghi agli elementi archetipici, vero fulcro dell’interesse. La pietra, il lithos, nel suo ieratico rivelarsi compositivo di strutture, si “stacca” dal suolo o dai luoghi dove è “portante”, per essere riconsiderata, come elemento identitario di un’area geografica, e inserita in un contesto alienante, la galleria. Qui viene rimodellato un muretto a secco, fotografato poi, da tre prospettive differenti. Tre foto di in grande formato, dunque, meta- contestualizzano l’andamento straniante che la pietra subisce nel ricomporre un muretto a secco in un ambiente chiuso e più asettico, rispetto agli spazi aperti, aumentano la simbolicità dell’elemento primigenio.
La distanza equazionale tra epoche legate a civiltà rurali ad oggi, sembra venir replicata grazie alla presenza rimarcata, riplasmata e diventata muretto,fino a sparire fisicamente,per diventare oggetto di uno scatto fotografico, ch, però eterna e non tradisce memorie. Il legame con il materico, in forte crisi per la trasformazione dei processi produttivi, viene richiamato, anche osservando, invece, le foto in piccolo formato, che riconducono, panoramicamente, la pietra alla sua provenienza.
Un’operazione site-specific, composita ed elaborata, preceduta da un’approfondita processazione dell’obiettivo e delle modalità con cui conseguirlo, già avviata con la prima personale del 2017 “ Qualcosa che sta per qualcuno al posto di qualcun altro”, presso Spaziobuonasera a Torino.
Una metodologia sottile e molto calibrata, quella sottesa alla ricerca artistica di Schiavone, che conduce lo spettatore al recupero della propriocettività nei confronti degli ambienti e delle relazioni ad essi connesse, discernendo i principi elementari,dall’invisibilità del logoramento quotidiano, per ricollocarsi consapevolmente nello spazio.
Lara Gigante