Autrice dello “scatto mentale”, una tecnica fotografica innovativa che permette di scrivere e disegnare con la macchina fotografica, Elisabetta Pandolfino si pone - con la sua opera – al confine tra il mondo scientifico e l’universo dell’arte contemporanea.
La fotografa, originaria di Messina, ha elaborato infatti una tecnica peculiare e complessa, chiamata “scatto mentale” che consente, senza vedere nulla, di tradurre un’immagine mentale in “disegno fotografico”, e che prevede un particolare uso della memoria e, in generale, della psiche. Per la rubrica “Focus on artist”, Lobodilattice ha intervistato Elisabetta Pandolfino per approfondire la sua tecnica fotografica innovativa.
Sei autrice di una tecnica mai realizzata finora, lo “scatto mentale”, che permette di scrivere o disegnare con la macchina fotografica. Puoi spiegare nel dettaglio e con termini semplici in cosa consiste questa scoperta?
Lo “scatto mentale” consiste nella materializzazione di opere inesistenti ancor prima dello scatto, che prendono forma durante lo stesso - sfruttando una qualsiasi fonte luminosa come può essere la luna - e che diventa inchiostro permettendomi di creare opere non astratte, senza vedere nulla durante la sua esecuzione.
Siamo abituati a scattare ciò che abbiamo di fronte, un palazzo, un paesaggio, un volto etc..
Con lo “scatto mentale” creo ciò che mi è richiesto al momento o che desidero realizzare, e che non esisteva prima dello scatto.
Quali sono le condizioni tecniche e psichiche perché lo “scatto mentale” venga realizzato correttamente?
Le condizioni tecniche e psichiche camminano di pari passo e mutano ogni qual volta mi accingo a realizzare uno scatto: dipendono dai luoghi, dalla luce, dalle emozioni, dallo stato d’animo e dall’ispirazione che ogni artista spera sempre di avere per creare.
Ci racconti l’iter della tua scoperta? Com’ è avvenuta la creazione dello “scatto mentale”?
Nel 2014, osservavo la luna, e riuscii per un attimo a trasformare il pensiero di scrivere il nome della persona amata in un dato di fatto. Da quel momento ha preso forma lo “scatto mentale”: avevo trasformato un pensiero in realtà, ero riuscita a scrivere qualche lettera e disegnato delle barche a vela sfruttando la fonte luminosa della luna.
Come ha reagito il mondo scientifico di fronte a questa invenzione che potremmo definire al confine tra la sfera tecnica e quella artistica?
Il mondo scientifico ha fino a questo momento espresso delle opinioni riguardanti l’utilizzo della memoria, e sullo stato psicologico che bisogna avere ogni qualvolta si esegue un’opera e dei fisici stanno elaborando il loro pensiero sullo “scatto mentale”. A mio avviso l’arte si completa grazie alla tecnica e viceversa.
Quale potrebbe essere la funzione e l’utilizzo - in termini pratici e su diversi livelli – dello “scatto mentale”?
Come si evince dal mio trattato al riguardo, oltre alla creazione di opere d’arte che spesso mi sono richieste su commissione, lo scatto mentale è innovazione e rientra nell’ambito di una nuova forma d’arte, oltre a destare coinvolgimento ed emozione.
Qual è la tua opinione sull’arte contemporanea in generale nella postmodernità? E come si potrebbe collocare lo “scatto mentale” nel panorama dell’arte contemporanea?
L’arte contemporanea permette all’individuo di esprimersi sorvolando i canoni di tecniche già esistenti, creando novità.
Lo “scatto mentale” rappresenta, appunto, la novità, la diversità che attira critiche e apprezzamenti, entrando nel panorama dell’arte contemporanea attraverso uno scatto.
A tuo avviso l’arte è rivoluzionaria?
L’arte è rivoluzionaria per chi riesce a sconvolgere la normalità, le regole, entrando di volta in volta in relazione con un’opera, una scultura, una fotografia. L’arte diventa rivoluzionaria se noi siamo disposti ad aprire la mente alla rivoluzione della nostra anima.