LOBODILATTICE

CI ADATTIAMO AL LIVELLO DELLA MATERIA PER ESPLORARE L'IMPRONTA D'UN TERRITORIO

Alla Galleria “Arte Spazio Tempo” di Venezia era visitabile, dal 13 Febbraio al 28 Marzo, la mostra Lo spazio fluido, coi dipinti di Maddalena Granziera. Esteticamente, a lei interessa esplorare il territorialismo, ovvero dare al materialismo l’impronta d’un adattamento. L’artista parte sempre da alcune fotografie, le quali però subiscono una trasposizione. Quelle ispireranno la raffigurazione pittorica, oppure saranno impastate, od infine si faranno sia “inghiottire” sia di contro “caricare” mediante un solvente. Immaginando, noi proviamo ad adattare sul reale una trasposizione del virtuale. E’ qualcosa che rievoca la percezione d’una luce “a sprazzi”, dopo aver distolto lo sguardo dalla sua fonte. O forse questo funziona a mo’ di simbologia per la grammatica, allorché subentri la contestualizzazione d’un discorso. L’artista gioca sempre sullo scambio d’immagini (dalla fotografia alla pittura, all’impasto ed alla condensazione), ma rappresentandole tramite lo sospensione dei propri brandelli. Si può esplorare solo andando “a tentoni” con le “impronte” d’un “distoglimento che aguzza”. Serve l’adattamento ad una sospensione della materialità. Chi esplora ha l’immaginazione che “aguzza” il distoglimento del reale sul virtuale. E’ un intero “territorio” di contesti (o sensi) per “l’impronta” d’una materialità che va “a tentoni” sul proprio adattamento. Soprattutto grazie all’arte, gli “sprazzi” d’una banale somiglianza ci attrarrebbero in quanto trasposti verso una “nuova realtà”. In linguistica, il senso (od il contesto) adatta all’esplorazione d’una virtualità fra le parole e le cose. A Venezia, la mostra era stata ufficialmente curata da Giulia Cacciola.

Nella serie dal titolo Trasposizione spaziale immaginaria, Maddalena Granziera usa la base fotografica al fine di dipingere. A volte ci pare di riconoscere la porzione d’un crinale montuoso, se l’atmosfera nebbiosa si distoglie dalla terra innevata. Ma l’artista inserisce il dettaglio surreale d’una “lava” scarlatta. Si percepisce un po’ l’andare “a tentoni” dei cerchi concentrici, che peraltro permettono un appiglio sul ripido pendio. Sia per il ghiacciaio innevato, sia per il vulcano eruttante, la nostra esplorazione sarebbe pericolosa. Di contro, ci si potrà rilassare all’adattamento d’un labbro, dopo il suo avanzamento “a sprazzi” per la timidezza d’un abbraccio. L’impronta del rossetto addirittura non dovrà “raffreddarsi”, tramutando l’imbarazzo in un impegno. Il quadro è dialettico nel cromatismo, ma sembra in funzione positiva d’una vivacità.

L’artista può smacchiare la base fotografica che ci mostra una roccia anche per confermare la labilità del mondo inorganico, esposto alle intemperie. E’ il caso del quadro dal titolo Una storia lunga miliardi di anni. La pietra ingombrante ma appuntita subisce “l’’incartamento” virtuale d’una campitura rossa, che scende dall’alto. L’evoluzionismo c’insegna l’adattamento delle specie animali. Forse, l’artista avrà aggiunto quello per gli enti inorganici? In realtà i due fenomeni possono incastrarsi, come avviene per la fossilizzazione. Qui la campitura rossa sembra negativamente bruciante, in sospensione persino da un sistema solare. Forse si può citare il big-bang primordiale, che per entropia avrà spostato il blu dell’acqua necessaria alla vita in un “labbro” ghiacciato come l’avorio d’una zanna. Ci basterà immaginare la scomparsa dalla Terra dei mammut, la cui stazza era quasi da roccia.

Per il filosofo Tomatis, attraverso il respiro noi faremmo in modo che l’esteriorità cosmica si cristallizzasse “in luce di vissuto”, unificando l’astrazione della mente col materialismo del corpo. Si passerà dall’attrazione all’accompagnamento. L’anima mundi può mettersi “in cammino”, giacché “soffiata” per ascendere alla sua causa, alle “alte vette” d’un vento spiritualizzante (ben oltre un semplice polmone, se interviene la mente). Si passa dall’attrazione per la vita alla libertà che accompagna. La seconda è fenomenologicamente più penetrativa, giacché “abbraccia” sia il materialismo sia l’astrazione, fra il “respiro” del corpo ed il “vento” dello spirito. L’ascensione in montagna ci aiuta a percepire quanto la nostra vita dipende dall’esperienza, fra le “rocce” dell’esteriorità che nascondono il “cielo” dell’animalità. Le mani s’appiglieranno a qualcosa che potrà paradossalmente sottostare a qualcos’altro. Converrà lasciare che la corporalità si trasformi in roccia, per concretizzare al meglio tutta la concentrazione dello spirito, evitando la caduta. Per quanto uno scalatore sia abile, egli invidierebbe le sorgenti d’acqua, che scaturiscono per adattarsi al pendio, senza la “forzatura” d’un appiglio temporaneo od incerto. Fatichiamo sempre all’incepparsi d’un meccanismo rodato. Tuttavia, l’indugio è simbolicamente filosofico, se contro il “pianerottolo” dei pregiudizi quotidiani. Raggiunta una vetta, l’esposizione al vuoto ci appare innaturale, costringendo a preferire i “piedi” dell’interiorità, tramite cui si vive letteralmente “un istinto per l’orizzonte”. Nella dimensione metafisica, fluttueremo abbandonati per l’accoglimento a 360° d’una grazia.

Nella serie che s’intitola Terra di carta, Maddalena Granziera provvede ad impastare una raccolta di stampe fotografiche. Queste già le erano servite, come supporto ad altri quadri. Le sagome di carta consentono di dare “un’impronta” al “respiro” della roccia. La loro disposizione appare ascensionale, favorendo inoltre che si mantengono le venature da “chioma” alberata. Chiaramente la rugosità appartiene alla percezione rocciosa. Fra l’impronta in terra, e la chioma in aria, possiamo immaginare il termine medio d’una montagna. Questa da un lato “dondolerà” sul basamento collinare, e s’alzerà a fendere i venti più veloci. Dunque la roccia nasconderebbe un “cielo” della vegetazione, anche perché l’impasto voluto dall’artista avrà trasposto la cellulosa ad “impronta” per la luce virtualmente reale d’una fotografia. Modernamente, la carta “respira” attraverso il suo riciclo. Quella è calpestata come la terra, ma positivamente per evitare di nasconderci il cielo in mezzo alle “montagne” dei rifiuti, nelle discariche.

Nel quadro che s’intitola Lungo il perimetro dell’isola, percepiamo la base fotografica in chiave non solamente ondosa. In alto c’è di nuovo il crinale montuoso, fra le nevi abbondanti. Però, la dialettica degli elementi terrestri finisce pure a specializzarsi nel proprio cromatismo. L’isola espressa dal titolo è inerente all’urto fra una “nuvola” celeste ed un “frutto” rossastro. Esiste il paradiso spiritualmente ascensionale, ma anche quello carnalmente tropicale. Si vive sempre nell’istinto per l’orizzonte, ai 360° dell’isola o della vetta, che qui per l’artista fluttuerebbero in un globo surreale.