Moreno Ussi
Amo rappresentare il corpo.
Il corpo esterna tutto ciò che ciascuno di noi possiede, le esperienze e gli eventi ci lasciano dei segni irreversibili, ravvisabili proprio attraverso la corporeità.
Quello che ricerco è una malinconia fisica che pare sottratta allo scorrere rumoroso della vita, quella stessa fisicità che rivela l’intimità caduca e transeunte dell’essere umano.
Tela deteriorata, legno vecchio e metalli ossidati portano con se uno storico senza controllo, dipingo su di essi prevalentemente a olio sottolineandone l’aspetto transitorio e corruttibile.
Non m'interessa l'aspetto narrativo della figurazione, non permetto che le persone ritratte parlino attraverso quello che indossano o per gli elementi distintivi che hanno attorno, non voglio raccontare la loro storia, spesso non conosco in che dimensione vivano. L’ambiente che li circonda diventa relativo.
Non è mia intenzione dare informazioni che non siano quelle espresse dal corpo stesso, piuttosto, voglio che sia la carne a essere il suo tempo e narrarci del suo trascorso.
Ritraggo oscurando l’ambiente, (rendendolo quasi asettico e privo di forza creativa) restituendo ai corpi una luce intima, fioca.
Una luce proveniente da una scena lontana da cui i miei soggetti sono sottratti e relegati ai margini, appartati in una dimensione di penombra, silenziosa e senza tempo.
Una luce la cui provenienza rivela del soggetto un’anatomia quasi scultorea ma allo stesso tempo nasconde e fa scivolare nel buio parti dello stesso, inquietandone la visione e rivelandone la fragilità.