L'autonomia del linguaggio siamo noi!
Il linguaggio dell'arte andrebbe inteso come un nostro riflesso connettivo e collettivo; riflesso che sintetizza aspetti della storia della nostra moltitudine su questo pianeta, quando non ci riflettiamo in un linguaggio artistico, nella migliore della ipotesi siamo davanti a una decorazione, un bello sfondo per un selfie.
Lo specchio dell'arte riflette sempre la propria immagine, che per essere riflessa nel linguaggio, necessita ovviamente di reale consapevolezza di sé: senza coscienza di sé, non si potranno mai comprendere i linguaggi dell'arte contemporanea.
Comprendere la mappatura del sé è il prerequisito per relazionarsi alla complessità del territorio dell'arte contemporanea.
Di base, il linguaggio dell'arte, rappresenta la zona di confine della natura dell'umana condizione, il confine d'una azione, tradotta in gesto, che diventa relazione esplorativa, si compie qualcosa di cui non si avrà mai il completo controllo.
La storia umana collettiva è fatta una moltitudine di Dei, divinità, simboli, icone e marchi: digitalizzazione e logica estetica del selfie, ci hanno resi poveri di simboli, ma ci siamo mossi e ci siamo evoluti attraverso di loro, li abbiamo letti e rappresentati, i simboli si sono connessi con noi dall'alto, in principio erano stelle, astrologia, sole e luna.
L'arte è ciò che resta, del nostro originario universo immaginifico, l'arte come la vita è saggezza e follia, l'arte che fosse solo vita sarebbe banale, come tanti artisti da social network, priva di senso.
L'arte senza follia è sedativo del pensiero, è qualcosa che non si pone il problema d'interpretare: l'artista dovrebbe fornire spiegazioni soltanto a chi non lo comprende: l'arte contemporanea nasce ogni qualvolta un uomo ragiona per interpretarne il significato, per questo il linguaggio dell'arte, si muove come un archetipo autonomo, dove la sua integrazione di significato passa per la dialettica, per un dialogo tra osservatori nel tempo dialettico e dialogico.