LOBODILATTICE

LA VITALITA' D'UN ELETTROCARDIOGRAMMA PER LA LUNA ALLA RESINA FOSSILE DAL SOLE ALL'AMBRA

A Venezia, presso la Fondazione Wilmotte, dal 20 Aprile al 24 Novembre si può visitare la mostra d’arte contemporanea La maison de la lune brulee, avente varie installazioni di Lee Bae. La curatela è di Valentina Buzzi. Esteticamente, l’artista cita un rituale che da secoli si compie nella sua regione di nascita, in Corea del Sud. I concittadini si radunano durante un plenilunio. Una pira di legno è accesa, provando ad allontanare degli “spiriti maligni”, mentre si deve realizzare un raccolto abbondante. La luna influenzerebbe anche attraverso la falce, rispetto ai campi da coltivare. Prima d’inaugurare la propria mostra, Lee Bae aveva raccolto dei messaggi da tutto il mondo, e contenenti degli auguri per il capodanno. Questi poi erano stati bruciati, in Corea del Sud, durante un plenilunio. Si contesterà l’ansia per la posta che tarda a raggiungere il destinatario. Simbolicamente il rilassamento avverrà contemplando le maree, con la loro riconnessione al ritmo. Chi ha fiducia, non teme gli ostacoli. In natura, la ciclicità è percepibile all’influenza sulle opposizioni (prettamente poiché si nasce e si muore).

Come la luna ci mostra sempre la stessa faccia, così il carbone nella calza della Befana (per una sinergia fra le ritualità, dalla Corea del Sud all’Italia) non “progredisce” verso il “dolcetto”. Se il vissuto consuma, allora questo sarà neutralizzato alla ciclicità. Nel famoso simbolo per yin e yang, dal taoismo, la rotazione si percepirà più “strozzata” (con la bolla) che “sorgente” (con il pianeta), quantomeno perdurando ad esibirci la stessa faccia. Lee Bae ama esporre il carboncino, che permette di trasfigurare in cielo un “arcobaleno” della terra. Il sole vivifica la natura, ma acceca l’uomo che lo contempla. Il carbon fossile è un po’ la marea della terra. Esso ricicla la sua energia, se l’uomo lo “ritma”: ad esempio da una turbina a vapore. Ma è l’arte che può trasfigurare, avendo un linguaggio “all’arcobaleno” del senso, dove manca la quotidianità del funzionalismo. Dialetticamente rimarrà il “mistero” per “l’ombreggiatura” del plenilunio, grazie alla contemplazione estatica. L’opera d’arte ci appare sia coinvolgente sia sfuggente. Il carbon fossile simboleggia l’influenza del sole sin dentro alla vita (a prescindere dall’astrattezza della luce), che poi si ricicla dalle “maree” della terra: ad esempio grazie agli istinti materialistici. Ogni uomo cerca di realizzare la propria felicità. Per l’artista aumenterà il progressismo se la società si riconnetterà ai ritmi della natura. Dunque il raccolto non deve “ribollire” per sfruttamento. Altrimenti noi rischiamo un’impreparazione purtroppo psicologica (insieme a quella economica) innanzi alla “normale inevitabilità” per cui la natura “si ribella” da sola, contro l’antropizzazione.

Nella videoinstallazione dal titolo Burning, i tizzoni “danzerebbero” sulle correnti marine, le quali hanno la stessa “faccia” (a causa dell’immersione). Contro la “turbina” dell’abisso nero, esiste “l’arcobaleno” che si “ricicla” mediante la barriera corallina. Questa ha una biodiversità abbondante. La videoinstallazione esibisce anche le lente “sbracciate” del corpo umano, da percepire sotto una pressione per immersione. Ricordiamo la meditazione che serve al fine di camminare sui carboni ardenti. Le braccia potrebbero pescare da un pozzo dei desideri. Così la fuliggine diventerebbe sgargiante (in accordo con una barriera corallina). A Venezia, Lee Bae ha chiesto che i visitatori entrassero scalzi nella sala con le installazioni lavorate. Il pozzo dei desideri funge da attrezzo per una ginnastica ritmica: in specie “pennellando” il nastro sulle onde, mentre la palla farà “ribollire” il blocco a causa dei mulinelli. Immaginiamo che il vulcano sottomarino sia il contraltare per la dialettica fra il sole e la luna, in cielo.

Nell’installazione dal titolo Issu du feu, i frammenti di carbone si ricompongono al mosaico. Però l’orientamento in verticale, abbandonando il prevedibile pavimento, proverebbe a far “troneggiare” una “risacca” fra le nuvole. Queste saranno scure, al rituale per la danza della pioggia. Esiste il “plenilunio” dell’incudine, che deve forgiare cedendo le faville. Nell’insieme noi immagineremo delle “martellate” temporalesche. Modernamente gli architetti gareggiano alzando al massimo i grattacieli, i quali cammineranno sui “carboni ardenti” delle montagne al tramonto. Lee Bae fonderebbe il cubismo con l’informale. A Venezia, l’installazione dal titolo Moon ha il vetro giallo per la funzionalità d’una luce acquatica, menzionando la laguna esattamente oltre la “segatura alluvionale” del mosaico, laddove l’oriente del sole, che dà la vita, è divenuto il mare.

Lee Bae sceglie il maruflaggio. Egli dipinge con la vernice a carbone, su carta sia coreana sia italiana. La percezione è quella d’un negativo fotografico, che però ha una “muscolatura” tipografica. Precisamente, a Venezia l’artista espone tre installazioni dal titolo Brushstroke. La filosofia orientale insiste parecchio sull’accettazione per cui anche la negatività rivive in un suo racconto. Non la si deve banalmente scartare. Virtualmente, la scheda video che si distorce in un monitor può riqualificarsi in via sinestetica, aggraziando il proprio rumore fra gli accordi delle ance, in una fisarmonica. Ricordiamo la compresenza dell’installazione che si chiama Moon, laddove il giallo del vetro esibisce la trasfigurazione della luce, rispetto alla camera oscura. L’arco per la risacca della carta sul pavimento sobbalza sino alla parete. Il carattere tipografico deve schioccare. Però gli allineamenti si percepiscono “timidissimi”, per la loro fittezza. Talvolta la negatività protegge: ad esempio bendandosi innanzi al sole. C’è la vitalità d’un elettrocardiogramma per la resina fossile dell’ambra, fra le onde, scure perché hanno ravanato nel fondale. La striatura fittissima potrebbe appartenere ad una conchiglia. Questa medierebbe fra il sole che compie la gittata (dall’alba al tramonto) ed il suo racconto (dal giorno alla notte) più facilmente “ispiratoci” dalla luna, avente la falce addirittura dentro di sé, senza accecare.

A Venezia, l’installazione denominata Meok concerne un monolite, scolpendo il granito nero dello Zimbabwe. Luigi Pirandello ci racconta d’una ragazza che ruba al padre gli amati fogli con le poesie, dal tavolo, e sino a pestarle sulla scollatura del seno. E’ l’allegoria d’un lettino vuoto, per l’ospite della famiglia: il Dottor Mangoni. Nel contempo, una finestra rimane aperta nonostante il gelo della notte, permettendo che evapori il cattivo odore del carbone. Quella è rischiarata dalla luna. La scollatura del seno non sembrerà “visitabile” neppure… a Luigi Pirandello (!), il quale la “sublimerà”, attraverso l’artificio dei fogli poetici. Il meok in coreano identifica il bastone d’inchiostro, che ovviamente aiuta la diffusione della conoscenza. Quindi il monolite di Lee Bae si percepirà tramite una carnalità da trastullo. La letteratura elettrizza le “rughe” della pagina cartacea. Romanticamente, la scrivania era “ispirata” dalla candela, di notte. La luna ha i crateri disidratanti. Il monolite ci mostra ha una facciata d’una sabbiosità levigata, ed una facciata dalla fluttuazione ipnotizzante. Dunque dalla carezza si passerebbe al godimento. Solo gli astronauti possono raggiungere la luna; ma forse non importa se essa ci permette di sognare.