A Fresh Look at Africa. Goba, Keïta, Mahlangu.
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A Fresh Look at Africa. Goba, Keïta, Mahlangu.
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Glenda Cinquegrana Art Consulting è lieta di presentare la mostra A Fresh Look at Africa, una mostra collettiva dedicata a tre artisti storici dell’arte africana, ovvero lo scultore John Goba, il fotografo Seydou Keïta e la pittrice Esther Mahlangu.
A Fresh Look at Africa scaturisce da una ricognizione storica sugli artisti inclusi nella prima esposizione ha portato per la prima volta attenzione a livello internazionale sull’arte africana, la celebre “Magiciens de la Terre”, curata da Jean-Hubert Martin al Centre Georges Pompidou nel 1989. L’esposizione, che nella prospettiva del curatore raccoglieva alcuni artisti “maghi” capaci di impattare sull’arte occidentale, aveva gettato per la prima volta lo sguardo su nuovi territori dell’arte alieni rispetto alla tradizionale geografia dell’arte europea e statunitense.
Il titolo A Fresh Look at Africa include volutamente il termine “fresh” come traduzione non letterale di friche, che in francese è sinonimo di freschezza, terreno incolto e abbandonato: la parola fa riferimento alla nuova prospettiva sull’arte africana suggerita dall’antropologo Jean-Loup Amselle nel saggio L’Arte Africana Contemporanea (2007). Per Amselle l’Africa è un continente friche, la cui arte può avere un effetto di rigenerante della cultura dell’ormai Vecchio Continente.
La scelta di tre artisti storici dell’arte africana è fatta secondo uno sguardo “fresh-friche”: essa rispecchia un tentativo di rilettura delle ricerche alla luce di uno sguardo che vorrebbe essere “contemporaneo”, influenzato da una nuova percezione dell’Africa, non più alla luce di una banale ottica terzomondista e post-coloniale, ma dove essa è vista come un continente autonomo produttore di cultura artistica; infine alla luce di forme di consapevolezza sull’importanza di adottare una prospettiva più inclusiva nei confronti del femminile.
La produzione fotografica di Seydou Keïta rispecchia una ricerca che è documentaria di un periodo storico del Mali; radicata allo spiritismo tribale di matrice femminile del Sierra Leone è quella dello scultore John Goba; espressione di una tradizione tramandata lungo una ereditaria femminile, è quella di Esther Mahlangu.
La ricerca di John Goba, (Mattru Jong, Sierra Leone 1944 - Freetown, Sierra Leone, 2019) è legata alla forte rilevanza delle donne all’interno delle società tribali. Nato all’interno della Bondo Society, una comunità segreta composta soltanto da donne, nella quale la nonna pare occupasse un ruolo di potere, l’artista è stato educato secondo i dettami della setta, la cui visione dell’universo è triadica, suddivisa fra mondo dei vivi, quello dei morti e quello degli Dei. La prassi scultorea dell’artista, basata sull’uso di legni tradizionali, riprende una figurazione cara ai miti di quella società segreta, fatta di dei ed eroi, e personificazioni del femminile che talvolta sono benigne, talvolta magiche e misteriose. Gli aculei di porcospino, che nelle guerre tribali in Sierra Leone sono utilizzate come armi da guerra, compongono la materia delle sculture e sono viste come strumenti di protezione dello spirito contenuto nel cuore del legno.
Portata all’attenzione internazionale dalla mostra “Magiciens de la Terre,” Esther Mahlangu (nata a Middleburg in Sud Africa, nel 1935) ha costruito un successo fatto di non solo di mostre nei principali musei del mondo, ma anche di prestigiose collaborazioni internazionali con società come Rolls Royce, BMW, British Airways e l’italiana Fiat. Alla veneranda età di ottantasei anni, costituisce una figura importantissima della storia dell’arte sudafricana.
Alla base della ricerca pittorica della Mahlangu si trova un lessico tribale tramandato all’interno della tribù Nbele per via femminile. Secondo la tradizione alle donne spetta la decorazione delle case, dove la scelta di alcuni codici è legata alle necessità di comunicare eventi legati alla vita quotidiana delle tribù. La Mahlangu, che ha fatto della sua stessa vita e della ricerca una lucida affermazione dell’orgoglio tribale al femminile, trasforma questo linguaggio murale in pittorico, che alla luce delle categorie di lettura occidentali, diventa astratto- geometrico.
Seydou Keïta (Bamako 1921- Parigi 2001) è stato uno dei massimi fotografi del Mali che grazie ad un ruolo preminente nella società del tempo è stato capace di raccontare un paese alla ricerca della propria identità dopo la fine della sua storia coloniale. Il ritratto fotografico, nel contesto del Mali di quegli anni, rappresenta per chi lo commissionava un importante strumento di costruzione di una nuova identità sociale. Nelle sue fotografie, in genere ritratti in bianco e nero scattati nel suo studio, gli uomini e le donne che sceglievano volontariamente di posare in atteggiamenti e vestiti tipici della cultura occidentale. Le immagini restano quale documento di una precisa volontà di comunicazione sociale all’alba di una nuova era per il paese. Le donne, in particolare, sono raffigurate secondo pose prelevate dalla tradizione classica della pittura; gli uomini ostentano oggetti e accessori della cultura occidentale per raccontare una modernità, che al tempo era vissuta come emancipazione dalla tradizione.
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