A Padova, presso la Fondazione “Alberto Peruzzo”, era stata ospitata dall’11 Novembre al 3 Marzo la mostra d’arte contemporanea Uno scenario mentale, con le installazioni di Esther Stocker, e sotto la curatela di Riccardo Caldura. Esteticamente, ci pare che lei cerchi al vitalismo il compattatore d’una griglia, mentre il suprematismo andrebbe evidenziato come un semi-adesivo per l’eternità. Contro l’impossibilità di rinchiudersi nella solitudine, emerge il condizionamento delle relazioni ambientali. Queste saranno simboleggiate dalla griglia. Un ambiente immediatamente circoscrive, per cui noi lo percepiremo a compattare il nostro “peso”. Il suprematismo di Kazimir Malevic cercava un’astrazione per la plasticità, in riferimento al quadro. Se da un lato esiste il “peso” di vivere (poiché nessuno lo ha voluto, nascendo!), dall’altro lato le relazioni ambientali, e principalmente sociali (attraverso la continuità dei sentimenti), “s’appiccicherebbero” col “fiato” della loro “atmosfera”, elasticizzando o stringendo, all’evidenziazione d’una contestualità. Certamente il post-it è labile. Qualcuno percepirà le installazioni dell’artista al “collasso” del plasticismo idealizzante dall’uomo vitruviano. Al rigurgito noi associamo un ricompattarsi solo negativo. In astrofisica si può accettare che l’Universo vibri, con la teoria delle stringhe. In quelle la relazione ambientale dovrà “appiccicarsi”, grazie alle “squame”.
Le installazioni di Esther Stocker hanno la conformazione ingigantita d’una noce, o d’un cervello. La mente connette le percezioni. Ma fatalmente subentrerà la “coltre collassante” della dimenticanza. Così l’artista ricorrerebbe al post-it, eternizzandolo come una “toppa di rimpiazzo” per il buco nero, a livello spaziale. Si tratta dei grandi dipinti, in una “messaggeria” per la griglia delle installazioni. Alle distanze siderali, un destinatario potrebbe anche mancare. Né serve scomodare la fantascienza. Al tentativo simbolico di contattare gli alieni, fu facilmente progettato il Voyager Golden Record. La musicalità esteticamente garantisce un po’ il “suprematismo” della perfezione circolare. Si perde il pregiudizio inquadrante della vista. Più vitalisticamente, noi immagineremmo lo “schiocco” d’una “castagna” per un pianeta, alla “griglia” dei suoi anelli. La dialettica fra il bianco ed il nero si conclude nel grigio: basta abbassare l’illuminazione della sala espositiva. Nei grandi dipinti Esther Stocker non raffigura il disco, però consente al quadrato di pulsare. Lo spiedo dal canto suo si percepisce in chiave distorta. Per rinfrescare la memoria, nelle installazioni (percepibili all’umidità del materiale) sarebbe unicamente ammissibile lo “straccio” d’un “rigurgito”. I quadrati dipinti esploderanno mantenendo comunque l’astrazione, al “graffietto” dell’appiccicarsi (dal post-it). Diventerà un suprematismo per l’optical art (la quale deve “rigurgitare” una figura nascosta; ed allo scenario mentale, dal titolo della mostra a Padova). Simbolicamente, connetteremo le installazioni coi dipinti mediante uno “spiedo” del post-it. Esiste una memoria condivisa, ergo vitalisticamente “conviviale”, nella cultura che fonda la “griglia” dei rapporti sociali (anche con le loro priorità, dai ruoli assunti). Si tratta di percepirla al compattamento, o di contro al collasso. Naturalmente, noi preferiamo sempre che gli Altri ci aiutino!
Guillaume Apollinaire immagina che un’Arlecchina si spogli, al chiarore della Luna, e specchiandosi sullo stagno. Si può prevedere che così sull’acqua un timido ondeggiamento rifletterà i caratteristici quadri del vestito. La donna ha un amante, Arlecchino, il quale recita sul palcoscenico, cogliendo una stella dal “ristagno” del “cupo” universo. Guillaume Apollinaire entrò in contatto con il pittore Pablo Picasso, a Parigi. Quest’ultimo poté passare artisticamente al periodo rosa (laddove la simpatia in pubblico del giocoliere, dell’arlecchino e del saltimbanco conserva, però, un’interiorità malinconica).
Le installazioni di Esther Stocker hanno un “pallore” lunare. C’è anche l’ondeggiamento “squamoso” delle griglie. Più genericamente, l’illuminazione spaziale si percepirebbe umida, e da un incollaggio. Alla miniatura figurativa, l’eventuale astronave sarebbe stata “distorta” dalla zattera. Spogliandosi, diventa spontaneo raggruppare i propri vestiti. Una cesta permetterà di condurli al lavaggio. Nello Spazio, se ci fosse un “pallottoliere” delle stelle, comunque queste s’equilibrerebbero alla staticità del vuoto. Nelle installazioni dell’artista, il molle pouf s’ingrandirebbe troppo, per rigidezza, verso il cestello d’una centrifuga. Questo confermerà “l’appiccicarsi” delle stelle, se nei dipinti la forma del quadrato sfrutta gli angoli per garantirsi un appiglio. Nelle installazioni la centrifuga “distorcerebbe” la sfera celeste. Forse noi percepiremmo una sorta di periodo metallico, alla lucentezza delle maglie bianconere. Nei dipinti i quadrati tendono ad ammassarsi, “anticipando” il nostro cannocchiale verso la particolare strutturazione delle galassie.